CI SIAMO SPEZZATI IL CUORE »
«UNO DEI DUE DOVEVA DARE IL COLPO DI GRAZIA ALL’ALTRO. PIÙ VOLTE, A VICENDA, IO E BLAKE
lake Fielder è senza ombra di dubbio la figura più odiata nella tristemente breve vita di Amy Winehouse. È stato lui, poco dopo il loro matrimonio a Miami nel 2007, a introdurre la cantante all’eroina, al crack e all’autolesionismo, con le conseguenze che ne hanno creato la leggenda: quella di una giovane star distrutta dai suoi demoni e dalla fama. Amy è morta, sola, per avvelenamento da alcol nel 2011. Il suo cadavere è stato trovato riverso sul letto dalla guardia del corpo che viveva a casa sua. Aveva bevuto massicce quantità di vodka guardando video delle sue esibizioni su YouTube. E aveva 27 anni, la stessa età di Jimi Hendrix, Janis Joplin e Kurt Cobain. Il 15 settembre (il 14 sarebbe stato il suo compleanno), la sua parabola struggente, maledetta e inquietante arriverà sul grande schermo con l’attesissimo documentario di Asif Kapadia. Il ritratto che il film dà di Fielder è a dir poco complesso. Lui, che l’ha visto, lo promuove definendolo un resoconto dei fatti veritiero, anche se non ne esce bene. E come potrebbe? «Ma chi vuole uscirne bene?», mi dirà a un certo punto. «Amy non c’è più. L’unica cosa che conta è lei». Tutti quelli a cui ho detto che avrei incontrato Fielder (non più Fielder-Civil, dopo la rottura dei rapporti con il suo patrigno, e in generale con tutta la famiglia) hanno avuto per lui solo brutte parole: «Un poco di buono», «Un tossico», «Il tizio che l’ha ammazzata». Nel film, tutti gli amici più intimi di Winehouse, quelli che ci sono stati fin dall’inizio, confermano quanto Fielder sia stato per lei un’influenza dannosa, ma nessuno può negare la forza del loro amore. «Mi sono innamorata di una persona per la quale sarei morta», dice la stessa Winehouse in un vecchio video. «Sento che in un certo senso l’amore mi sta uccidendo». L’unica voce a offrire, se non parole di sostegno, perlomeno un’interpretazione più ricca di sfumature, è quella di James Gay-Rees, il produttore del documentario, a cui si deve la partecipazione di Fielder. «A me Blake sta simpatico», dice. «Non è stato certo un angelo, ma nemmeno lei lo era. Quest’idea che sia stato lui a rovinarla ielder arriva all’appuntamento da Leeds, dove vive con il sussidio di disoccupazione. Ha un’ora di ritardo. Tiene in mano l’ultimo numero di e una copia di che ha letto in treno. Indossa jeans stretti, una semplice maglietta bianca con le maniche arrotolate, il suo solito cappello, catenine e anelli vari (su uno c’e scritto: «Troppo veloce per sopravvivere, troppo giovane per morire»). Ha le braccia coperte di tatuaggi e – dalle spalle ai polsi – da una ragnatela di sottili cicatrici orizzontali, frutto di anni di autolesionismo. Su un avambraccio c’è un grande tatuaggio di Winehouse che ha in mano un palloncino rosso e piange. Ci sono i nomi delle donne che ha amato (Amy dietro l’orecchio, Sarah sulla schiena e sull’altro braccio, e a quanto pare una Chloe in un punto che non riesco a vedere), e quelli dei suoi due figli. Parla pianissimo, dettaglio che nel film risulta un po’ inquietante. Il termine con cui lo definiscono molti dei suoi detrattori – il più accanito dei quali è Mitch Winehouse, padre di Amy – è «manipolatore» (termine che, del resto, viene usato per quasi tutti i tossici). Se è vero che è un istinto piuttosto spietato quello di cercare la bugia, di non fidarsi basandosi sui trascorsi, è però difficile dimenticare il fatto che Fielder è un ex tossicodipendente. Lui dice che l’ultima ricaduta risale a un anno fa. Difficile capire, da come lui la racconta, se quella ricaduta sia stata la causa o la conseguenza di una pessima decisione avvenuta nello stesso periodo. Quel che è certo è che la decisione è stata davvero pessima. Verrebbe anzi da usare parole assai più dure per descrivere le fotografie che ha accettato di fare, per un giornale, in posa davanti alla tomba di Amy. Dice che per farlo l’hanno pagato – «due soldi» –, quindi immagino non una somma enorme. Sono immagini raccapriccianti, mercenarie, per niente sincere. Janis Winehouse, la madre di Amy, si è arrabbiata moltissimo per come Fielder ha oltraggiato la tomba. «Me ne sono pentito un attimo dopo aver cominciato», dice lui. «In quel momento non capivo niente, ho avuto un attacco di panico. Pensavo: “Non possono nascondersi dietro un albero e far finta che sia una foto rubata?”. Solo che in quel periodo mi facevo... Loro dicevano che non c’era problema. Io sapevo che non avrei dovuto. È quello che succede quando voglio accontentare la gente». Il suo dispiacere sembra sincero. Dice che al momento non fa uso di droghe, e ad aiutarlo sono gli incontri dei Narcotici Anonimi. a bene che idea tutti noi ci siamo fatti di lui. Solo qualche giorno fa, stava parlando con una ragazza in un bar, e quando lei ha capito chi era ha spostato indietro la sedia: «Scusa, con te non ci posso più parlare. Sono una grande fan di Amy». «Ma a Amy non sarebbe piaciuto vedermi trattare così», dice.