Il paese dei bambini scomparsi
urlato e si è arrabbiato e alla fine mi ha riportato da suo figlio. Ci sono rimasto ancora a lungo. Sua moglie mi picchiava sempre». Joel: «Ne sono uscito quando una delle mie fidanzate ha partorito. Il primo di cinque figli, avuti da lei e da altre due donne ( in Benin la poligamia è molto diffusa, ndr). Li guardavo e pensavo: che cosa proverei se qualcuno me li portasse via? Solo allora mi sono reso conto del male che avevo fatto. Non solo: in questo mestiere rischi di restarci secco ogni giorno, ma io non voglio lasciare degli orfani. E poi, qui da noi quando muori la famiglia ti seppellisce con il funerale tradizionale, solo che, se ci lasci la pelle in una sparatoria, la polizia prende il tuo corpo e lo sotterra dove capita, mica lo restituisce alla famiglia: io non voglio essere seppellito così. Mi propongono in continuazione di tornare nel gruppo, perché ero un leader, avevo la visione del mercato, facevo fare dei bei soldi. Ma non voglio più. E oggi, se per caso vedo qualcuno che cerca di trafficare un bambino, lo ammazzo».
NIGER
Dopo l’incontro con la sorella – ammesso che lo fosse – July è fuggito altre due volte. Due volte i padroni l’hanno riacciuffato. La terza non l’hanno trovato, o forse hanno deciso che conveniva procurarsi qualcun altro, più facile da domare. E poi, sei anni fa, i poliziotti nigeriani si sono imbattuti in questo bambino di strada che parlava la lingua di un altro Paese. Riconoscendo le frasi in fon, hanno capito dove veniva e, come da prassi, l’hanno consegnato ai colleghi beninesi. I quali, come da prassi, lo hanno affidato ai salesiani, che in Benin, per dirla tutta, sono l’unica organizzazione non governativa in grado di gestire casi del genere: lo fanno da vent’anni, con una rete di rifugi e un gruppo di uomini che, a rischio della propria vita, fa quello che la polizia non fa – pattuglia i mercati per smascherare i trafficanti. «Gestire casi del genere» non è affare da poco: come mi spiega don Juan José Gómez, direttore dell’opera Don Bosco in Benin, significa diseducare un bambino alla legge della violenza, aspettare con pazienza che smetta di pisciare ancora nel letto a 17 anni, insegnargli un mestiere, prepararlo per tornare a vivere. Nel 2014, i salesiani l’hanno fatto con oltre 3.300 bambini. Significa che questo articolo potrebbe essere 3.300 volte più lungo. July ha quasi completato l’apprendistato come sarto e parla correttamente il francese, che non aveva mai studiato, essendo stato fatto schiavo prima di poter andare a scuola. I genitori, quando don Gómez si è messo in contatto con loro, hanno semplicemente detto: tenetevelo. Nessuno è riuscito a stabilire con precisione quanti anni abbia trascorso in Nigeria, né dove. Nel suo passato c’è un buco, ma July non ha particolare interesse a riempirlo. È così anche per Joel. Entrambi si considerano fortunati, e hanno ragione, perché possiedono ancora un nome (per quanto lo pronuncino balbettando), un volto (per quanto segnato dalle cicatrici) e un futuro, per quanto si affacci su un letamaio.
NIGERIA
in Benin scompaiono ogni anno tra i 50 e i 200 mila bambini, venduti come
schiavi nella vicina (e ricca) nigeria.