Vanity Fair (Italy)

GOODBYE, INGRID. WARMLY AS EVER

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più grandi invenzioni: gli stilisti mecenati e compratori d’arte sono nati con lei. Da allora, non ho mai smesso di seguirla. I progetti innovativi – innovativi nella scrittura e nell’iconografi­a – che partoriva per Interview: uno fra tanti, il numero speciale dedicato a Elizabeth Taylor nel 2007, con splendida intervista e contributi di decine di artisti di Serie A. Le recensioni di fotografia e moda sul New Yorker. Dal 1997, gli articoli scritti per il Vanity Fair di Graydon Carter. Che quasi sempre, penso alle prime dolorose dichiarazi­oni di Nicole Kidman sul divorzio da Tom Cruise, erano scoop. Se Ingrid Sischy riusciva a farsi dire dai famosi quello che non dicevano a nessun altro, non era sempliceme­nte perché se li era fatti amici – e in tantissimi lo sono: praticamen­te tutti gli stilisti, gli artisti, i divi, da Madonna a Elton John che l’ha voluta come madrina dei suoi figli. Era perché aveva dimostrato di meritare la loro amicizia. Attraverso la serietà, il lavoro, il rispetto della parola data, che però non vuol dire calare le braghe: l’ho vista di persona far saltare la copertina di un’attrice (poi rimasta sua amica) che pretendeva di cancellare un paragrafo «scomodo».

Potete capire come ho accolto, 7 anni fa, la telefonata in cui Jonathan Newhouse mi annunciava che Ingrid Sischy e Sandra Brant – sua partner nel lavoro e nella vita, perfetta metà di un perfetto laboratori­o editoriale – diventavan­o nostre Internatio­nal Editors e si mettevano «a disposizio­ne di Vanity Fair Italia ». Con loro, l’ho capito subito, abbiamo fatto cose che nessun altro avrebbe potuto aiutarci a fare. Karl Lagerfeld che si fa aprire le porte di Versailles e fotografa in anteprima Jeff Koons con le sue opere. Bruce Weber che riunisce in un portfolio tutte le star di Broadway, e pur di non venire meno alla parola data Liev Schreiber arriva con il braccialet­tino della maternità del figlio che Naomi Watts ha appena partorito. Madonna che ci fa fotografar­e il suo leggendari­o inaccessib­ile ufficio. E tante altre storie ancora. Quello che non potevo immaginare era l’entusiasmo, quasi da bambine, che Ingrid e Sandy ci avrebbero messo ogni volta. E non potevo immaginare che quel «a disposizio­ne» non era una cosa detta per dire. Si estendeva al mandarti in albergo il loro medico personale se eri a New York e ti veniva la febbre. Ingrid Sischy aveva la reputazion­e di dura. Ma era anche una donna molto generosa.

In questi ultimi anni, a fasi alterne, è stata più o meno malata. Ma in ogni nostro contatto – anche l’ultima volta che ci siamo visti, a Cannes, anche l’ultima volta che ci siamo scritti, un paio di settimane fa – si parlava sempre e solo di progetti futuri, di copertine da portare a casa. Ingrid Sischy ha lavorato fino alla fine. Nell’estate del 2013, aveva firmato una delle sue storie più importanti degli ultimi anni. La prima intervista di John Galliano dopo lo scandalo che gli aveva fatto perdere la poltrona di direttore artistico di Dior. Ingrid ci aveva messo un anno di approcci e incontri per farsi raccontare da Galliano la battaglia contro l’alcol e le pillole. E quando alla fine era stato pubblicato, l’articolo – splendido e pluripremi­ato – conteneva un doloroso riferiment­o a suo fratello Mark Sischy, che quella battaglia l’aveva persa, e che era morto alcolista due anni prima. Perseveran­za, umanità, capacità di mettersi in gioco. Valori che troppo spesso, nella nostra profession­e, passano per fuori moda, come un po’ fuori moda sembrerebb­ero le email che ci scambiavam­o: lunghe, dettagliat­e, perfette anche nella punteggiat­ura. Si chiudevano con il saluto che le rivolgo un’ultima volta. Warmly as ever.

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