Cari giudici, ma una ragazza dalla vita Çnon lineareÈ DICE SEMPRE Sí?
sono state usate. Il 26 luglio 2008 Giulia (nome di fantasia) trascorre la serata alla Fortezza da Basso con gli amici di un amico: a fine serata la violentano in sei. Le indagini conclusero che la fecero ubriacare e la portarono in macchina. Per i giudici dell’Appello: «Tutti avevano bevuto insieme un quantitativo di shottini non particolarmente elevato e comunque imprecisato, e in fin dei conti Giulia aveva tenuto una condotta tale da far presupporre che, detto basta... allora non può che dedursi che tutti avevano mal interpretato la sua disponibilità». Da un blog arriva il commento di Giulia: «Mi è stato detto che ho una condotta sregolata, una vita non lineare, una sessualità “confusa”, che sono un soggetto provocatorio, esibizionista, eccessivo, borderline. Perché sono bisessuale dichiarata, femminista e attivista lgbt. Se per essere creduta e credibile come vittima di uno stupro non bastano referti medici, psichiatrici, mille testimonianze, prove del Dna, ma conta solo il numero di persone con cui sei andata a letto prima che succedesse, o che tipo di biancheria porti, se usi i tacchi, se hai mai baciato una ragazza, se non sei un tipo casa e chiesa, non puoi essere creduta... Abbiamo perso tutti. Ha perso la civiltà, la solidarietà umana quando una donna deve avere paura e non fidarsi degli amici, quando si giudica la credibilità di una donna in base al tacco che indossa, quando dei giovani uomini si sentiranno in diritto di ingannare e stuprare una giovane donna perché è bisessuale e tanto “ci sta”». A volte le parole usate nelle motivazioni di una sentenza fanno molto più male della sentenza.