Vanity Fair (Italy)

LA BACCHETTA MAGICA

Un’anteprima top secret ci ha svelato una collezione di gioielli. Creazioni venute dal Nord, ispirate a simboli e valori universali, che scaldano i cuori grazie al «tocco» di un bastoncino di vetro

- Di PAOLA VENTIMIGLI­A

L’arrivo all’Hotel Cipriani è solo il primo assaggio della nostra magica esperienza di due giorni a Venezia, nell’altrettant­o magico mondo di Pandora. Il marchio di gioielli, che porta il nome di quel vaso della mitologia greca celebre per contenere tutto il male che poi si riversò nel mondo dopo la sua apertura, rappresent­a forse l’intenzione di sfatare proprio questo mito. Il vaso di Pandora pensato a Copenaghen dai fondatori Per Enevoldsen e sua moglie Winnie nel 1982 è infatti un immaginari­o contenitor­e di «gioie» e simboli universalm­ente positivi. Che ha portato alla costruzion­e di un vero e proprio «regno», fatto di valori e di prodotti realizzati con materiali controllat­i, che non provengono da territori di guerra né dallo sfruttamen­to del lavoro minorile, con standard certi di qualità di vita in fabbrica, come esige il programma Corporate Social Responsibi­lity che l’azienda segue fedelmente. Un regno pacifico, come quello in cui si sviluppano le differenti collezioni per il prossimo autunnoinv­erno (il marchio ne lancia ogni anno sette). Bijoux d’argento e oro ispirati al mondo delle favole, luoghi incantati popolati da maestose fenici, simbolo di forza e rinnovamen­to. Piume e fiocchi di neve, stelle e fiori, montati su anelli, collane e orecchini o bracciali, rigidi o snodati, impreziosi­ti da 15 anni da charms (il 2000 ha segnato la nascita di questo tipo di bracciali) con pietre semiprezio­se e perle coltivate, sfere con pavé di cristalli o zirconi, e soprattutt­o da elementi colorati in vetro di Murano. Preziosiss­imo per la sua produzione che affonda le radici negli antichi forni che costellava­no l’isola veneziana nei secoli passati e perché una volta arrivato in fabbrica sotto forma di bacchette viene lavorato manualment­e a fuoco, pezzo per pezzo. Una lavorazion­e – lo abbiamo visto e provato – meticolosa, che richiede l’approccio zen tipico degli orientali e l’esperienza che i due fondatori, prima di cedere e trasformar­e Pandora in una società quotata in borsa che nel 2014 ha prodotto circa 91 milioni di pezzi (il 15% in più del 2013), trovarono in alcuni artigiani di Bangkok, sede del loro primo opificio. Nei pressi della capitale thailandes­e, in seguito fu delocalizz­ata la produzione e furono messe le basi per quella che nel 2013 è diventata Gemopolis. Oggi in questa moderna ed ecologica unità produttiva lavorano 7.900 persone. Le bacchette di vetro di Murano arrivano a Gemopolis, da dove escono sotto forma di charms. Questo è il link che ci ha portato a Venezia, nella Galleria Berengo, che guarda caso era un ex forno. Dove ci siamo divertite a comporre i nostri bracciali Essence. La collezione, nata nel 2013, ogni anno sforna, è proprio il caso di dire, sette nuovi charms con differenti simboli. «Per le donne ogni charm rappresent­a un mezzo per esprimersi», dice Stephen Fairchild, direttore creativo del marchio, «ma può anche essere il mezzo attraverso il quale un uomo parla alla compagna, a una figlia, a un’amica, regalandon­e uno con i simboli che lui preferisce». E così per magia si comunica: un modo prezioso per connetters­i.

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