Vanity Fair (Italy)

L’arte è un dramma

Quando lavora indaga il lato comico nella vita, quando acquista quadri e opere GIORGIO GHERARDUCC­I affina il gusto. Ed esprime il dissenso per quello che non va

- Di ANNAMARIA SBISÀ

ompleanni. Il primo vale per tre e festeggia tre decenni di risate firmate dalla Gialappa’s Band. Era il 1985, quando le voci di Marco Santin, Carlo Taranto e Giorgio Gherarducc­i si sono incontrate nella trasmissio­ne Bar Sport, impennando le frequenze di Radio Popolare e fondando il gruppo. Il nome di battesimo arriva l’anno dopo: la gialappa è un lassativo per cavalli, i Mondiali messicani 1986 pullulano di calciatori colpiti da problemi intestinal­i, i commentato­ri danno il titolo ufficiale alla Band, optando per il lassativo Gialappa. Passiamo a Giorgio Gherarducc­i: come si fa a essere sempre spiritosi? «Bisogna nascere pirla, e io ho avuto questa fortuna». La fortuna, non una ma trina, è stata notata proprio durante i Mondiali, e da quel momento la Gialappa’s ha attraversa­to di humour Drive In, Emilio, Mai dire Banzai e poi Mai dire Gol e svariate altre trasmissio­ni. Si ride da trent’anni e si ricomincia a settembre su Raidue con Quelli che il calcio. Il secondo compleanno. Il decennio questa volta è uno solo, ma per Giorgio significa tanto, perché festeggia un improvviso e violento amore: «La passione per l’arte ha sopravanza­to calcio e donne, da subito». Il subito è situato nel 2005, in un villaggio turistico, all’interno di una galleria «di media infima categoria» dove, davanti a un’opera di Arman, scatta

CQUELLI CHE...

La Gialappa’s band approda

a Quelli che il calcio: il programma riparte su Raidue domenica 13 settembre alle 13.50. Giorgio Gherarducc­i, Marco Santin e Carlo Taranto

avranno un ruolo centrale all’interno della trasmissio­ne. la folgorazio­ne: «Con il senno di poi il quadro era anche abbastanza brutto, però ha capovolto il mio punto di vista, non sofisticat­issimo». Tornato a casa con quadro e folgorazio­ne, Giorgio cosa fa? Compra libri e fa ricerche, gira per mostre e musei, impara e studia, anche su Internet: «Perché anche i prezzi sono importanti» ma soprattutt­o, guarda la television­e. Passa la notte insieme alla voce di Carlo Vanoni, conduttore delle televendit­e di Orler Tv: «Spiegava bene i quadri, mi ha insegnato tanto». Una passione da studiare? «I primi due anni non bisognereb­be comprare, soltanto informarsi». Lui ha comprato da subito, coltivando la collezione distribuit­a a casa di amici e parenti. Come si fa a ricordarsi delle opere? «Mi ricordo degli amici e dei parenti». Come si sceglie? «È un giardino segreto che sconfina dal senso degli affari, però ammetto di non inseguire la pura emozione, piuttosto un piacere. Per esempio, quello di avere scoperto di avere un certo gusto. Ma non compro per motivi solo estetici e prediligo artisti già internazio­nali». Un sogno: «Un sacco di Alberto Burri. Tele rivoluzion­arie che hanno anticipato la pop art e il New Dada di Robert Rauschenbe­rg». È un giardino che fiorisce cultura? «In realtà studiare ha tirato fuori la rabbia per la situazione mondiale: vivere è diventato troppo faticoso per troppi, troppo facile per pochi». Da qui, l’amore per il dissenso fatto ad arte e una forma di personale dissenso: Gherarducc­i si fida di poche e selezionat­e gallerie, come se avesse sviluppato una sorta di filosofia no gallery: «Fino al momento dell’acquisto alcuni galleristi ti promettono anche un rene o la figlia, dal giorno dopo fanno fatica a salutarti. Sono venditori d’auto che fanno i fighi». Da qui a diventare mercanti di se stessi il passo è rapido, dall’arte alle battute su calcio e no, invece, che distanza c’è? «Nel lavoro cerco il lato comico, nell’arte più il dramma». Cosa c’è dell’arte, in te? «Assolutame­nte niente».

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