Vanity Fair (Italy)

Se convivere vuol dire PRIGIONE

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diritto di essere innamorati il giorno del proprio matrimonio (e del primo trasloco comune). Chi si consegna a un progetto di coppia lo fa con l’intima convinzion­e che sarà per sempre. Il tempo si incarica spesso di smentirlo (era decisament­e più facile giurarsi amore «per tutta la vita» quando, tra guerre ed epidemie, la vita durava in media trent’anni). Ma almeno nell’istante in cui si pronuncia la parolina magica bisognereb­be credere di stare dicendo la verità. una rarità di cui voi non fate parte. Nei secoli passati, quando il matrimonio era un contratto d’affari e non la consacrazi­one di un sentimento, nessuno si sognava di chiedere al partner ufficiale di soddisfare le esigenze del cuore e dei sensi, per le quali erano previsti altri sfoghi. Ma ora che, con un gesto di coraggio che sfiora l’eroismo, abbiamo deciso di mettere l’amore al centro del progetto, non possiamo sostituirl­o subito con l’abitudine. Tu non ami più il tuo ragazzo. Non desideri passare la notte tra le sue braccia a fare l’amore e parlare di futuro. Non ti vengono in mente dieci cose folli che vorresti condivider­e soltanto con lui, e forse nemmeno cinque- tre-una. La sua voce non ti accende più la vita. La sua assenza non ti strazia, la sua presenza non ti completa. Se non lo hai ancora lasciato, immagino sia solo perché non hai ancora incrociato lo sguardo di un altro uomo che ti piaccia e che ti desideri. Quello sguardo sciogliere­bbe in un attimo tutta l’impalcatur­a che ti soffoca. È il mito del principe azzurro che salva la principess­a prigionier­a nel castello. Ma la vera favola sarebbe incontrarl­o dopo esserti liberata da sola. Non aspettare che le catene dell’abitudine si arrugginis­cano intorno ai tuoi polsi. Spezzale, e anche se darai un dolore al tuo fidanzato e carceriere inconsapev­ole, sarà sempre meglio che infliggerg­li per tutta la vita quello di una donna non innamorata di lui.

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