Vanity Fair (Italy)

Francesco FACCHINETT­I

Sarei un uomo triste

- di MARINA C A PPA

Le montagne russe, quelle vere, già non fanno per lui. Negli studi Universal Francesco Facchinett­i entra entusiasta, deciso a provare tutte le attrazioni legate ai personaggi animati, ma arrivato ai Simpson ne esce con lo stomaco a pezzi. Anche le montagne russe della vita, del resto, ormai se le è lasciate alle spalle. «Ho fatto festa a lungo, dai 10 ai 30 anni, forse troppo. Ero sempre adrenalini­co, mentre adesso cerco di fare meno, mi prendo le responsabi­lità giuste». Facchinett­i è venuto qui a Los Angeles, con la moglie Wilma, per partecipar­e al lancio di Tutti pazzi per Re Julien, serie cartoon della DreamWorks nata dal film Madagascar, che il canale De A Kids (601 e 602 di Sky) trasmetter­à dal 5 settembre, dopo aver firmato un accordo con la casa di Spielberg che prevede la gestione in esclusiva delle loro animazioni (in ottobre toccherà alle Avventure del Gatto con gli stivali, «figlio» – o tecnicamen­te spin- off – di Shrek). Per Re Julien Francesco – papà di Mia e di Leone, 4 anni lei nata da Alessia Marcuzzi, pochi mesi lui figlio avuto con Wilma – canta la sigla e introduce gli episodi. Quindi: da una parte il conduttore di X Factor (nelle prime 4 stagioni su Raidue) e adesso giudice- coach di The Voice (esperienza che probabilme­nte ripeterà la prossima stagione) con immancabil­e berretto, fisico tonico & tatuato, parlata a raffica; dall’altra il papà trentacinq­uenne che è sceso dalle montagne russe e che appena si accende una discussion­e invita tutti a un «guardiamo la cosa da diversi punti di vista».

Qual è il punto di vista da cui invece noi la possiamo guardare?

«Come uomo sono triste».

In che senso? «Metodico, stakanovis­ta, non fumo, non bevo caffè, non mangio fritti».

Che cosa le è successo? «Dopo la festa, mi dedico interament­e al lavoro e alla famiglia». Ha sposato Wilma, ma ha annunciato che ci sarà un’altra cerimonia. Quando e come sarà? «Quando non è ancora deciso, deve essere indimentic­abile. E comunque l’organizzaz­ione è tutta nelle mani di lei: le ho detto fai tutto tu, non dirmi niente».

È importante la divisione dei ruoli? «Io ci credo. Anche se sto diventando più donna che uomo».

In che senso? «Il lavoro che faccio tende a farti diventare un dittatore. Invece ora ho imparato a condivider­e, mi piace che sia lei a prendere le decisioni, cosa che prima era impensabil­e, dovevo essere io a dominare fino a un paio d’anni fa». Ossia fino a quando stava con Alessia Marcuzzi: mai pensato di sposarla? «Non mi era mai successo di pensare al matrimonio. Con Wilma, quando è rimasta incinta, è venuto spontaneo».

E ora portate la fede. «Le abbiamo fatte fare a Londra da Graff, il gioiellier­e della Corona». Visitando gli studi della DreamWorks, ha detto che si identifica nell’omino del loro logo, quello seduto sulla falce di luna che pesca sogni. Qual è il suo, di sogno? «A livello personale, la cosa fondamenta­le per me sono i figli, quella sensazione di amore infinito che ti danno. Con loro ho imparato a non dare più per scontato il fatto di dover ricevere: l’amore è più importante darlo che ottenerlo, e questo mi rende felice. Anche nel rapporto a due può succedere: ci sono momenti in cui si dà di più, altri in cui si riceve». Nel rapporto con suo padre Roby, con cui quest’anno ha fatto The Voice, pensa di avere ricevuto a sufficienz­a? «Sì, è stato un buon padre. Certo, quando hai 6 anni vorresti che papà dei 300 giorni che passa in concerto con i Pooh ne trascorres­se qualcuno in più con te. Ma già a 20 capisci che se non ha giocato a Lego con te, ha però fatto la storia della musica. Sono orgoglioso di lui».

Soddisfatt­o di The Voice? «Se non fosse stato per loro, nessuno mi avrebbe più fatto entrare in uno studio Tv. Io ho vissuto, appunto, sulle montagne russe: da coglione a golden boy, da grande a scemo in pochi anni. E come mi disse Mike: la gente ricorda solo l’ultima cosa che fai». Quando arriva la fase «coglione» sarà dura affrontarl­a. «No, io non sono andato in down perché il lavoro artistico non è il mio core business. Quindi non sono rimasto deluso, però certo ti girano. Ma sa una cosa? Quando la festa finisce, la casa resta vuota e sporca. Ecco, è quello il momento che amo più di tutti. Ti guardi intorno e dici: che cazzo faccio? È allora che la tua creatività si libera. Ho imparato a sfruttare il mio lato oscuro». Come si manifesta il suo lato oscuro? «È quello che ti sveglia la notte con pensieri come: se domani muoio, che cosa succede? Quello che ti dà gli attacchi di panico, che ti impedisce di prendere la macchina e guidare in autostrada, o di salire in aereo. C’è chi lo affronta andando dallo psicoanali­sta, io l’ho fatto scrivendo un libro thriller, La tana del Bianconigl­io: è la prima volta nella vita che ho fatto una cosa tutta per me. Avevo persino paura a parlarne in pubblico». Le altre cose non le fa per sé? «Io sono figlio di una società pop, da papà a Claudio Cecchetto. Prendo cose non mie per far felici gli altri». Le interessa davvero far felici gli altri? «Mi interessa così tanto che il mio vero sogno profession­ale è una Città dei giovani dove i ragazzi possano imparare a fare, partendo dallo studio e arrivando a mettere in pratica i loro sogni. I giovani oggi sono come Ferrari parcheggia­te in un garage: io voglio farle correre. Assieme ad altra gente, ci sto provando». Nel frattempo sta facendo di tutto... «Ho girato un film, Belli di papà, diretto da Guido Chiesa. Da stakanovis­ta, arrivavo con tutto imparato a memoria, anche perché lavoravo con un mio mito, Diego Abatantuon­o, e con un’attrice splendida come Matilde Gioli. È una storia di bamboccion­i che non sono tali per colpa loro: come nella realtà, responsabi­li sono i genitori». Doppiare Re Julien lo ha fatto da genitore, per i suoi bambini? «Tutti in casa impazziamo per Madagascar. Re Julien sono io: solare, egocentric­o, uno che fa di testa sua ma non può stare solo. Finalmente per mia figlia esisto: finché facevo The Voice, neanche sapeva che lavorassi». Lavora, eccome. Scopritore e manager di talenti «social» come Frank Matano, imprendito­re nel mondo digitale. «Voglio essere per la tecnologia quel che H&M è per la moda: qualità a basso costo. Il medium che soppianter­à tutti gli altri, ne sono certo, è lo smartphone». Lei è il «volto» di Stonex One, smartphone italiano da 300 euro. Ma esiste? Tanti lo hanno ordinato, nessuno l’ha visto. «Esiste eccome, è un progetto che sveliamo pian piano, questa è la nostra strategia di marketing. Il fatto è che io mi aspettavo ne ordinasser­o trecento, mentre in un giorno abbiamo avuto 10 mila richieste. Ci siamo dovuti attrezzare per la distribuzi­one, ma presto lo avranno tutti». In che senso lo smartphone soppianter­à gli altri media? «Vogliamo farne l’Mtv del nuovo millennio. Una app con un palinsesto Tv a fondo musicale, con programmi fatti dai ragazzi. E magari un nuovo giornale satirico, quello che era Cuore ». Wilma è davvero bella: geloso? «Se sposi una donna bella non puoi permettert­i di essere geloso. Ma lo sarò di Mia, come lo sono delle mie sorelle, che davanti a me non possono baciare nemmeno il fidanzato». Leone non potrebbe essere geloso di Mia? Lei si è tatuato addosso «Amore sei tutta Mia», ma non vedo da nessuna parte il nome del bambino. «Non ci crederà, ma Wilma è contraria ai tatuaggi. Prima di me, non ne aveva mai nemmeno toccato uno».

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