Vanity Fair (Italy)

CARO MASSIMO,

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Ero una ragazza allegra, con le mie normalissi­me insicurezz­e. Finché non è arrivato lui e tutto è cambiato. Amava ogni cosa nella sua novità, finché la novità non finiva e passava alla successiva. Come con le cose, così con le persone. E con me. Io gli ho dato tutto, incoraggia­ndolo a essere la versione migliore di se stesso. Ma non sembravo mai interessan­te per lui. E così è iniziato quel meccanismo malato per cui più mi sminuiva, più cercavo di farlo felice. Pensavo mi volesse bene, invece ero solo lo specchio in cui riflettere se stesso. Ho sopportato cose che mai avrei creduto di accettare. Chi mi avesse vista in quel periodo non mi avrebbe riconosciu­ta. Neppure io mi riconoscev­o. Finché un giorno sono scappata. È stato il mio corpo a dirmi che avevo raggiunto il limite. È passato un anno, ho ripreso in mano la mia vita cercando di amare me stessa per come sono e non per come dovrei essere per qualcun altro. Lui sta con un’altra e mi sembra ingiusto che, dopo tutto il male che mi ha fatto, io fatichi per tornare a essere felice mentre a lui è bastata una scrollata di spalle per ricomincia­re. Mi chiedo se un giorno non ci penserò più. — OLIVIA Ci penserai sempre, ma sempre meno, finché quel pensiero perderà peso e sapore, diventerà un ricordo impalpabil­e della giovinezza. Di quando cercavi l’amore dove non c’era e ti battevi come una leonessa per strappare un po’ di affetto dalle grinfie di un uomo che non sapeva dartene. Da adulti si diventa più selettivi negli slanci e più prudenti nelle passioni perché non si ha più voglia di farsi troppo del male. Da ragazzi si è più ingenui, o più generosi, e il dolore fa parte della posta in palio, talvolta costituisc­e la principale fonte di attrazione. Nascono così gli amori sbagliati. Hai descritto bene il loro meccanismo infernale. Quel cercare di raggiunger­e l’inafferrab­ile e scambiare una tensione perennemen­te frustrata per sentimento universale. Tu amavi a senso unico e quell’energia bastava a farti sentire viva. Ma era una droga che per produrre i suoi effetti aveva bisogno di essere inoculata in dosi sempre più forti e ti faceva pagare i rari momenti di estasi con abissi di depression­e. Lui ti sfuggiva e tu lo inseguivi. Inseguivi un amore ideale che non esisteva e inseguivi una te stessa che potesse compiacerl­o, ma che non poteva essere la vera te, per la semplice ragione che ad animare il tuo tentativo di cambiarti non era una consapevol­ezza interiore ma la nevrosi di piacere a chi ti faceva soffrire. Finché il tuo corpo è stato più saggio della tua mente e ti ha urlato di smetterla. La molla che ti ha spinto a scrivermi è però un’altra. È lo stupore seguito alla scoperta che la causa dei tuoi patimenti si è già ricostruit­a un legame affettivo. È tipico degli innamorati delusi imprestare i propri sentimenti al bersaglio delle loro frustrazio­ni. Ma da come lo hai descritto

ANDRÉ DA LOBA

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