Vanity Fair (Italy)

CARO MASSIMO,

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Nella mia città gli immigrati sono

numerosi; li trovi all’uscita di bar,

supermerca­ti, chiese, a elemosi-

nare centesimi che nessuno quasi mai dà.

La Tv e i giornali li hanno resi anonimi,

un’unica massa senza identità né famiglie

né padri né madri né figli né figlie. Non ri-

esci più a distinguer­li come esseri umani

unici, individui con una propria storia e

una propria vita.

Ma all’improvviso accade qualcosa.

All’angolo di una strada c’è un ragazzo

di poco più di 15 anni, l’età di mio figlio,

seduto per terra, mal vestito, gli occhi

bassi, in mano un bicchiere di carta. Il

mio cuore di madre sussulta, penso a

mio figlio, a ciò che ha e che questo ra-

gazzino non potrà mai avere. Mi chiedo

da dove venga, e se sua madre sia stata

costretta a lasciarlo andare. Mi siedo

accanto a lui, gli chiedo il nome, ma lui

non risponde, si guarda intorno, spaven-

tato. Mi allontano, ritorno con dell’ac-

qua e del pane, cerco di farlo parlare, di

sapere dove dorme, ma niente. Allora

vado via, gli dico: «Torno domani». Lui

mi guarda e ringrazia. Mi allontano, ma

il mio cuore è rimasto tra le mani di quel ra-

gazzo solo e impaurito, e nelle orecchie

quell’unica parola: «Grazie».

Da quel giorno l’ho cercato senza più tro-

varlo, e in me è rimasto un vuoto, come chi

sa che avrebbe potuto fare di più e non

l’ha fatto.

— DELIA Prima che qualche demagogo in cerca di applausi ti appiccichi l’etichetta di buonista, lasciati dire, cara Delia, che non potevi fare niente di più e di meglio. Anzi, hai fatto molto più, e molto meglio, di quanto non faccia abitualmen­te io, che vivo con imbarazzo l’incontro quotidiano con Ai bambini e ai vecchi è impossibil­e resistere. Sono deboli, smarriti, indifesi e, anche se li temo vittime di qualche adulto sfruttator­e, non riesco a renderli trasparent­i. Le loro occhiaie mi parlano delle persone che amo, del me stesso che ero e che diventerò. Se non fossi sempre di corsa, sempre al telefono, sempre divorato dai sensi di colpa – mi dico – farei come te. Invece di liquidarli con una mancia dall’incerta destinazio­ne, darei loro un panino e cinque minuti del mio tempo. Mi siederei ad ascoltare la storia che non hanno voglia di raccontarm­i e forse con un po’ di pazienza li convincere­i a farlo. Invece il dolore degli altri mi fa ancora

ANDRÉ DA LOBA

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