A CHI FACCIO PAURA?
Sono una stangona di due metri, tutta marmo pregiato.
Sul mio conto ne hanno dette tante, ma l’unica cosa certa è che sono femmina. Hanno detto che sono una dea, la dea dell’amore, della bellezza e della fertilità, ma quale donna non lo è? Chi mi chiama Venere, chi Afrodite. Sono una stangona, sono alta quasi due metri, tutto marmo pregiato, e sono una delle prime e più fedeli repliche dell’Afrodite di Cnido scolpita da Prassitele nel IV secolo avanti Cristo, addirittura. Dicono, ma gli originali non furono mai trovati, che Prassitele avesse realizzato due statue, uguali, una vestita e una nuda, e che gli abitanti dell’isola di Coo avessero scelto la versione vestita mentre quelli di Cnido me. E sapete perché proprio di me si è parlato tanto? Perché nel gesto di coprirmi il pube, io, una dea, mi mostravo per la prima volta umana, secondo loro. Fu il pudore a rendermi celebre, figuratevi.
Noi repliche eccellenti siamo sparse per il mondo, e nei musei più importanti, non per vantarmi: a Londra, Atene, Siracusa. Sì, sì, anche agli Uffizi, lo so, ma quella fiorentina è proprio greca, lei, quell’antipatica. Quanto a me, invece, mi ritrovarono qui a Roma nei pressi della Basilica di San Vitale intorno al 1670. No, non San Vitale di Ravenna, magari, me lo sarei fatto volentieri un giro in Romagna: proprio quella romana, quartiere Monti. E lo sapete chi mi ha comprata e messa qui a Palazzo Nuovo? Un grandissimo Papa. Un anticonformista, un illuminato, un fior di riformista: Benedetto XIV. Nel 1752 mi ha comprata e regalata alle collezioni capitoline, quell’uomo di buon gusto.
Hanno detto che ho ossatura fine e sguardo languido, che sono morbida e ho la bocca piccola e carnosa. Oh, quanto si sono soffermati sulla mia espressione assente! Hanno detto che ero intenta a cercare di coprirmi il seno e il pube mentre uscivo dal bagno, ma a voi posso rivelarlo: avevo solo freddo. Però, visto che è piaciuta tanto questa idea del raccoglimento, delle braccia protese a coprirmi, gliel’ho lasciato dire. Gli uomini, si sa, a un certo punto si sono inventati ’sta cosa del pudore femminile per eccitarsi: non era così una volta, ve lo posso assicurare. Ma le femmine a un certo punto capiscono che non vale la pena prenderli di petto, quando si fissano su qualcosa, e li lasciano dire. Ci sono stata bene qui, in questi ultimi duecento cinquant’ anni. Un posto tranquillo e delegante. Mi hanno fatto una stanzetta ottagonale tutta per me, con un bel lucernario, le pareti affrescate, i fregi e tutto l’armamentario. Visto che non posso andare da nessuna parte, tanto vale farsi ammirare, e dalla mia altezza guardo tutti dall’alto in basso. Figuratevi il mio stupore quando la settimana scorsa hanno mandato dei tizi a inscatolarmi dentro una sorta di bara bianca. Screanzati! Ma erano più imbarazzati di me, quei signori, va detto. Li ho sentiti, i loro commenti mentre mi imprigionavano: «Una cosa ridicola», dicevano. Ma eseguivano degli ordini, poveracci, anche se non si è ancora capito di chi.
Chi, chi poteva mai desiderare di mettermi in gabbia? Me, una dea eterna, il simbolo della bellezza e dell’amore. A chi posso far paura? Solo uno sciocco, con rispetto parlando, può pensare che amore e bellezza siano cose pericolose. O no?