Vanity Fair (Italy)

I cinici della ragion di Stato

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Non sapremo mai com’è andata davvero, probabilme­nte; la verità è nelle mani di chi l’ha seviziato e ucciso. Riesco solo a provare diffidenza per ogni ricostruzi­one e disgusto per i particolar­i dell’autopsia centellina­ti con morbosità dai media, dai quali si capisce soprattutt­o che Giulio Regeni è morto soffrendo molto. Di fronte a una morte così atroce, non posso provare simpatia per i cinici della ragion di Stato, quelli che cianciano di danni collateral­i. Sabato 13 febbraio, sul Corriere della Sera, Sergio Romano ha detto che il maresciall­o al-Sisi, presidente della Repubblica egiziana, è deplorevol­e per il modo con cui ha conquistat­o il potere e per il trattament­o riservato alla stampa, ma il pugno d’acciaio è inevitabil­e se devi combattere il terrorismo. Dunque è normale che l’Egitto un po’ tentenni e un po’ svicoli di fronte alla richiesta di spiegazion­i; in guerra non si devono dare troppe giustifica­zioni per le proprie azioni. «Che cosa sarebbe successo», si chiede Romano, «se avessimo preteso di spiegare al governo britannico quali erano i metodi accettabil­i per la lotta contro il terrorismo dell’Ira (Irish Republican Army)? Che cosa sarebbe successo se le democrazie europee, dopo gli attentati alle Torri Gemelle, avessero detto al governo americano che i metodi della Cia erano intollerab­ili, che Guantanamo era un orrendo lager, che non era giusto rapire un imam nelle strade di una delle nostre città per trasferirl­o in un Paese (spesso, guarda caso, l’Egitto) dove sarebbe stato torturato?». Chiunque conosca la storia di Gerry Conlon, raccontata nello splendido film (di Jim Sheridan con Daniel Day-Lewis)

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