Vanity Fair (Italy)

LA MORTE FA MENO PAURA»

«QUANDO HO SAPUTO DELLA MALATTIA SONO ANDATO IN INDIA. MENTRE IN ITALIA SAREI “SCOMPARSO”, LÌ AVREI “LASCIATO IL CORPO”. VISTA COSÌ,

- RIDIAMOCI SOPRA

Ci sono cose che a pensarci non serve. Il battito del cuore, per esempio. O il respiro. Poi ci sono cose che a pensarci succedono. Come muovere un braccio. Massimo, però, per respirare ha bisogno di una macchina e muove solo un polso. La frase che ho «ritagliato» sopra l’ha scritta lui nel suo libro, Maria Extra Vergine, una raccolta di racconti umoristici appena uscita che, al pubblico, viene presentata per la prima volta il 21 febbraio. Forse non rende giustizia agli intenti umoristici dell’autore, però mi sembrava importante. E poi, in quella frase, mi sembra che lui ci stia tutto, «ma proprio tutto». Massimo D’Alonzo è malato di Sla. I primi sintomi e la diagnosi sono arrivati nel 2000. Era caduto un paio di volte e, all’ospedale, si resero conto che qualcosa nel suo modo di camminare non andava. Gli dissero di rivolgersi a un neurologo. Il quale gli comunicò che aveva tre anni da vivere. Da due anni e mezzo, si alimenta tramite peg, un sondino porta i liquidi e le calorie di cui ha bisogno direttamen­te nello stomaco. Ed è collegato a un respirator­e. Il soffio lento e regolare della macchina pulsa sulla musica di sottofondo. È una compilatio­n di oltre 500 canzoni, la ascolta dalla mattina alle sette alle nove di sera. «Massi adora la musica, per questo ho raccolto i suoi brani preferiti», mi dice Dori, la sua assistente domiciliar­e, o «il suo angelo, il suo amore», come la chiama lui. A casa di Massimo arriviamo dopo un numero incalcolab­ile di curve e saliscendi, mentre intorno il vento si fa sempre più furioso. Una casina di pietra isolata da tutto dove non ti stupiresti di trovare gli gnomi ad aprirti la porta. Dentro, un po’ ovunque, ci sono statuine di divinità buddiste e immagini di Sai Baba. Dopo aver scoperto di essere malato, è stato in India sette volte. Se la Sla gli aveva cambiato la vita, quei viaggi hanno cambiato il suo modo di vederla. «Mentre in Italia sarei “scomparso”, là avrei “lasciato il corpo”. Vista così la morte fa meno paura». La casa l’aveva comprata all’epoca in cui era appena diventato padre. Insistente­mente, prima di incontrarl­o, gli ho chiesto via email di raccontarm­i del suo passato. Mi aveva spiegato di aver fatto il dj in discoteca da ragazzo, «un dj timido e astemio, che non parlava mai». E di essere stato anche maestro, fiorista e intagliato­re di pietra. Ha una sorella, un’ex moglie, una figlia che vive in Sicilia. «Ma dei miei rapporti, tutti importanti, e della mia famiglia, preferisco non parlare», mi aveva scritto. Ho pensato che, magari, c’erano questioni aperte, problemi. Poi, ho pensato che, forse, guardare al passato, quando il futuro è così precario, è un lusso che non ti puoi permettere.

Il libro di Massimo D’Alonzo Maria Extra Vergine (Campi di carta editore, pagg. 131, ¤ 9)

viene presentato al Modena Buk Festival il 21 febbraio alle 10.30. Massimo mi accoglie con una frase di benvenuto sul monitor collegato al puntatore oculare. Non potendo parlare, comunica in quel modo. Oppure utilizza una tabella alfanumeri­ca se ha qualcuno che gliela sistema abbastanza vicina. Muovendo il polso, fa scorrere il pollice sulle lettere. È sdraiato, circondato dalle macchine, e dalle piante («Le amo tutte, ci ho anche parlato, sono umili e generose. Ma mi rendo conto che è un

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