PUNK AND THE CITY
Dark e romantica, • la NEW YORK del libro pi• atteso (e pagato) dÕAmerica. Dal Navy Yard di Brooklyn al West Village per imparare che la paura • unÕarte
uesta è la storia di un’ossessione, e di un lampo (il lampo viene dopo). L’ossessione di nome fa New York City, così come può essere bramata solo da uno che è nato e cresciuto tra la Louisiana e il North Carolina, figlio di un padre che per tutta la vita ha inseguito il sogno di essere il nuovo Richard Ford, e ha fallito. Un riflesso della verità Garth Risk Hallberg se lo lascia scappare alla fine della nostra telefonata. Cosa avrebbe fatto se non fosse diventato scrittore? «Sarei finito in prigione». Ma poi corregge il tiro: «In realtà, mi sento un poeta fallito». Non è strano che il concetto di fallimento sia connaturato in uno che di secondo nome fa «rischio». Per rischio, dunque, è diventato scrittore. Il suo Città in fiamme è il romanzo americano più ambizioso e importante del 2015 (con influenze dickensiane e ardore tarttiano, come ha tuonato Kakutani del New York Times, sparando Hallberg sull’Olimpo), divenuto famoso per essere stato pagato dall’editore Knopf due milioni di dollari e per le oltre mille pagine. Questo monumento, un po’ detective story, un po’ romanzo di formazione, un po’ documentario ultra dettagliato (anche se lui giura di non avere fatto troppe ricerche: «Mi sono basato sui libri di DeLillo, le opere di Warhol, le inchieste di Ken Auletta»), si svolge tra il Natale del 1976 e il blackout del 13 luglio 1977 e racconta dell’epoca in cui il sud Bronx veniva messo a ferro e fuoco affinché certe imprese potessero ricostruirlo da capo. Uptown e Downtown sono rive lontane, tirate su a separare il mondo- ordine (finanza e soldi) dal mondo- caos (graffiti e anarchia). Hallberg, però, ne mescola le carte: un evento minimo, una sparatoria a Central Park, la cui vittima è una ragazzina, porta a galla una rete di relazioni che lega tra loro uomini d’affari mefistofelici, spacciatori, musicisti punk, eroinomani, aspiranti terroristi, giornalisti alcolizzati, poliziotti zoppi. Un mastodontico intrico di linee narrative, alla Balzac, per dire, che ha richiesto sette anni di lavoro. Come è nata l’idea? «Nell’estate del 2003. Mi è arrivata tutta in un colpo, in due minuti». Che in una vita sono un lampo. E poi? «Avevo 24 anni. Pensai fosse una cosa da matti e mollai lì fino al 2007. Poi