Vanity Fair (Italy)

Caccia al ladro

Il ladro è il bello, tutto ciò che ruba lo sguardo e nutre la creatività della stilista CHICHI MERONI. Una storia che inizia con una misteriosa statuetta e destinata a non finire mai

- Di ANNAMARIA SBISÀ

AChichi Meroni, stilista e creatrice del concept store milanese L’Arabesque. Il Giappone è il suo

Paese d’elezione. biti, profumi, libri e gioielli e anche arredi. L’universo raccolto sotto il titolo L’Arabesque parla una lingua sola, quella della ricerca dell’esploratri­ce del bello Chichi Meroni, stilista. E non solo: «Con L’Arabesque si voleva raccontare un mondo femminile e una storia di caccia». Di un inseguimen­to lungo una vita a tutto ciò che accende lo sguardo, in mezzo a centinaia di cose, tra mercatini, culture e continenti, in un incessante viaggio di raccolta: «È tutto complement­are, vestiti, mobili o gioielli, all’interno dell’idea della scoperta». Torniamo alla caccia, al momento in cui si punta un oggetto come se non si vedesse altro. Come si fa? «Si stratifica l’esperienza e non si smette mai di cercare». Anche mentre si disegna un vestito o si creano colori, mentre si distingue la scia di un profumo o s’intuisce come rendere felice chi indosserà il suo abito su misura, si esercita la stessa arte. Chichi l’ha imparata da bambina, seguendo la mamma e la zia appassiona­te di antiquaria­to in ogni dove, tra negozi farciti di porcellane in cui girava senza perdere una puntata, spesso in Inghilterr­a o al celebre Marché aux Puces di Parigi, perché tutto era incanto: «Mi divertivo da pazzi». Poi, a 17 anni, la prima spedizione da sola: Chichi scopre una collezione di divinità in avorio, siamo al mercato dei ladri di Hong Kong. «Nei miei spazi c’è sempre l’Estremo Oriente». C’erano buddha e lacche nella casa di famiglia, ma soprattutt­o, a nutrire il lato esotico dell’estetica che compone la sua firma, c’è stato il prolifico filtro di un falso terrore. Per spaventarl­a, la madre la minacciava: «Se non fai come ti dico, viene la geisha bianca e ti porta via». La geisha bianca c’era. La paura era ben visibile, un blanc de Chine a mani unite sulla console della camera della madre: «Quando mi diceva così, immaginavo che diventasse enorme e che mi portasse in un altro mondo». Però, attenzione, senza alcuna paura: «Era affascinan­te, troppo elegante per essere una strega». La minaccia non ha mai funzionato, facendo al contrario molto sognare la bambina con molto tempo per stare sola: «Come figlia unica dovevo costruire luoghi immaginari in cui giocare». In qualche modo la geisha mi ha insegnato l’arte della caccia al bello. Fantasie però nutrite dalla vita reale, dunque frastaglia­te di ville e giardini, antiquari, bronzi, boschi e figure mitologich­e, da lei frequentat­i: «In questi mondi ho creato tutto quello che poi ho fatto». Come li raccontere­bbe? «Ci sono fiori non sfioriti, molto silenzio, nessuna rabbia». C’è molto silenzio anche in Giappone, Paese d’elezione di Chichi Meroni, affascinat­a dal culto della precisione e della lentezza, come della capacità di scelta. La selezione sarebbe la sua specialità: «Ma capita di dovermi fermare, quando ho dieci idee diverse e non riesco a decidere». Per sbloccare la situazione, comincia a mettere in ordine, per esempio i suoi libri. La cerimonia privata toglie inquietudi­ne e regala visioni: «Basta lo stelo di una pianta, la purezza di quel disegno mi fa ricomincia­re». L’inquietudi­ne non va tenuta? «La detesto, come i capricci». La geisha svetta ancora sulla sua scrivania: «Non potrei lasciarla, mi ha portato per mano tutta la vita». Insieme alla vista di un tempio di Kyoto immerso nel bosco, «un colpo al cuore» in equilibrio su maxi palafitte: «Non ho mai più visto nulla che l’abbia superato». Aveva solo 17 anni, e ancora adesso con il sottofondo della musica di boschi di bambù cerca e disegna oppure legge, spesso libri giapponesi.

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