Vanity Fair (Italy)

MI CHIAMI PURE RE DEL MONDO

Il suo nome irlandese, impronunci­abile, predice un grande futuro. E in effetti a DOMHNALL GLEESON sembra porti fortuna: i ilm che ha girato negli ultimi mesi (compreso quello in uscita) sono initi tutti agli Oscar. Lui, invece, è rimasto a casa

- di RAFFAELLA SE RIN I

La«m» è muta. A 32 anni Domhnall Gleeson, attore irlandese dal nome gaelico in rapida ascesa a Hollywood, ha passato la vita a rispondere «Donal» alla fatidica domanda: come si pronuncia il suo nome? Noi la evitiamo (basta Google). E passiamo la prova. «Sono molto impression­ato», se la ride Gleeson dall’altra parte del telefono. Di risate l’attore – dal 17 marzo in Brooklyn, nella parte dell’irlandese che negli anni Cinquanta fa battere il cuore all’emigrante Saoirse Ronan, divisa tra la nostalgia di casa e la nuova vita in America – ne riserverà parecchie in questa intervista.

A proposito: anche Saoirse Ronan come pronuncia non scherza. «Ahah! Sono tutti nomi tradiziona­li irlandesi, molto complicati». Il suo signi ca «re del mondo», è vero? «Non lo so, ma i miei genitori l’hanno scelto per il suono, non perché speravano che avrei dominato il pianeta ( risata). Se però vuole chiamarmi “re del mondo”, non mi o endo».

Intanto spadronegg­ia a Hollywood. Nell’ultimo anno ha praticamen­te avuto il monopolio dei lm importanti, da Star Wars VII a Ex Machina, passando per Revenant e Brooklyn, entrambi alla serata degli Oscar. Ne ho dimenticat­o qualcuno? «A Dublino ho anche portato in scena uno spettacolo con mio padre Brendan e mio fratello Brian ( entrambi attori, ndr). La cosa bella è che tutti i lm sono andati bene: è una fortuna che tanta gente veda il frutto del tuo lavoro». Agli Oscar però non si è fatto vedere. «Mi sarebbe piaciuto esserci, ma era un viaggio lungo, e ho bisogno di riposo». Per caso è in viaggio di nozze? Si mormora che si sia sposato in segreto. «Una bufala. Stiamo insieme da dieci anni ( con una misteriosa “ danzata storica”, ndr) ma a sposarmi non ci penso». Il sito Buzzfeed ha scritto: «Nel 2015 tutti abbiamo imparato a pronunciar­e Domhnall Gleeson». È così? «Chissenefr­ega dell’Oscar, l’importante è che oggi la gente sappia dire bene il mio nome ( risata) ». Quante volte le tocca spiegarlo? «In Irlanda mai, negli Stati Uniti spesso». Parla gaelico? «Alle elementari tutte le lezioni erano in irlandese. Poi, dai 12 anni, ho fatto la scuola inglese. Conoscere il gaelico è importante, mi connette con la mia cultura». Lei vive a Dublino: l’idea di «emigrare» in America non la considera? «Qui sono felice: oggi c’è anche un sole pazzesco, non vedo l’ora di fare due passi». E i primi passi nella recitazion­e? «Avevo 16 anni e mio padre vinse l’Irish Film Award come miglior attore. Siccome era impegnato su un set, aveva bisogno di qualcuno che ritirasse il premio per lui e chiese a me. Mi scrisse il discorso, che però era lungo due pagine mentre io avevo a disposizio­ne solo trenta secondi per leggerlo: credo volesse farmi uno scherzo. Io andai velocissim­o e feci ridere tutti. Subito dopo mi chiamò un agente». Ma lei all’inizio non voleva fare l’attore. «Ero più interessat­o alla scrittura e alla regia. Mio padre è famoso: mi preoccupav­a non essere all’altezza del suo nome. Col tempo, ho capito che l’unico nome a cui dovevo interessar­mi era il mio, e quel padre di successo mi è tornato utile: oggi ho qualcuno cui chiedere consigli». Da suo padre a oggi, com’è cambiato essere un attore irlandese a Hollywood? «Domanda interessan­te, ma lui sarebbe più adatto a rispondere. Io noto aspetti pratici: spedisco la registrazi­one video di un provino il giorno stesso in cui ricevo la sceneggiat­ura, mentre ai tempi di mio padre avrei dovuto aspettare settimane per il copione, altrettant­e per la registrazi­one, e nel frattempo la parte sarebbe andata a un altro. Anche solo rispetto a dieci anni fa, volare a Londra per un casting costa meno. Tutto è più semplice. E a Hollywood è cambiata la percezione degli attori nati o cresciuti da questa parte dell’Atlantico, tant’è che ormai tutti i supereroi, da Spider-Man a Batman a Superman, sono inglesi». Un ruolo mascherato ancora le manca. «Non c’è un Super- omino di pan di zenzero: potrei essere il primo». Il regista di Brooklyn ha detto che lei è uno spasso. Non posso che confermare. «Lo ha detto davvero? Che carino. In effetti, il mio passatempo preferito è sedermi al pub con gli amici e ridere». Riesce a far ridere anche le donne? «Ma perché, le donne non ridono? ( risata fortussima) Comunque no, fanno a gara a uscire con me solo perché sono terribilme­nte attraente». Quando lavorava con Angelina Jolie in Unbroken, faceva ridere anche lei? «Era lei che faceva ridere me: Angelina è una donna divertenti­ssima». In Brooklyn compete in amore con un ragazzo italiano. Chi è meglio? «Gli italiani hanno un grosso vantaggio: sanno cucinare. Io ai fornelli sono pessimo, riesco a malapena a farmi da mangiare per sopravvive­re». Eppure è un «buon partito». E al cinema fa spesso il bravo ragazzo, come nella commedia romantica Questione di tempo con Rachel McAdams. «È bello fare lm che parlano di cose semplici ma importanti: amare, essere persone migliori. Al cinema c’è troppa cattiveria». Lei è migliore con o senza barba? «Rasato non mi piace, ma non è bello nemmeno avere la barba lunga come in Revenant - Redivivo: mangiare è di cile, e orrendo da vedere». In Ex Machina faceva il secchione digitale, ma di lei in Rete non v’è traccia. «In compenso ci sono molti account sui social che si fingono me. Non mi piace quando a Dublino domandano di me, - gurarsi pubblicare su Internet cose private. Anche questa storia del matrimonio, scusi, ma dove l’ha letta?».

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Pag. 93: giacca di pelle, Saint Laurent by Hedi Slimane. Camicia, Paul Smith London. Styling Sarah M Richardson.

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