Vanity Fair (Italy)

LA FORMULA DI LEWIS HAMILTON

L’aquila la potete ammirare sul collo di LEWIS HAMILTON che si prepara, nel ruolo di favorito, al nuovo Mondiale di Formula Uno. La sua vista in effetti è eccellente (sa riconoscer­e a distanza di otto anni), il suo carattere davvero rapace («non è sgradev

- di SILVIA NUCINI

Nelle ultime 24 ore sul pro lo Instagram di Lewis Hamilton sono state pubblicate sei foto: in una è con Irina Shayk, in un’altra con Eva Longoria, poi con Liya Kebede, e ancora con le modelle Barbara Palvin e Anja Rubik. Il giorno prima lo si vede abbracciat­o ai McCartney: Paul e Stella. Scorrendo le foto a ritroso si trovano tutti: dalle socialite ai rapper, dai nobili inglesi agli stilisti. Il pro lo Instagram di Hamilton dovrebbe essere caso di studio per chi si occupa di marketing degli umani, materia per la quale il pilota inglese sembra avere un’autentica passione. «Socializza­re è una parte fondamenta­le del mio successo. L’ho capito solo da poco, e solo da poco ho realizzato che non ha senso lavorare, lavorare, lavorare e non avere mai tempo per uscire la sera con gli amici». Ma la passione vale poco se non si accompagna al talento, e risulta evidente che Hamilton ce l’abbia quando mi dice: «La guardavo, prima: noi ci siamo già conosciuti, vero?». La circostanz­a che sì, sia successo, ma otto anni fa, fa di lui un fuoriclass­e delle public relations o della memoria – fate voi – oltre che dei circuiti di Formula Uno, di cui è campione mondiale da due anni. Il Campionato sta per ricomincia­re e anche quest’anno lei è il favorito. Un ruolo che la stressa o la carica? «Corro da quando ho 8 anni e sono sempre stato in mezzo a pressioni fortissime, le più grandi delle quali vengono da me stesso. Non ci sono solo io: c’è la squadra, i fan, gli sponsor. La pressione che viene da loro è più di cile da gestire, devi riuscire a incanalarl­a e trasformar­la in energia. Ma onestament­e essere il numero uno non è una cosa sgradevole: tutti vorrebbero essere al tuo posto. Io, però, cerco di dimenticar­melo: il mio lavoro è arrivare primo, ogni volta. Riparto da zero a ogni gara, come se non ci fosse passato, come se fosse la prima e l’ultima volta che corro. Tiro una riga ogni volta, e ricomincio. Ho sempre fatto così». Che cos’è per lei vincere e perdere? «La vita. Vittorie e scon tte non sono qualcosa che sperimento solo sul circuito, ma ogni giorno. Può sembrare retorico, ma penso che servano entrambe. Quando vinci hai qualcosa in più, perdere, invece, ti toglie qualcosa ma regala saggezza e ti fa crescere anche se non lo sai. L’ho imparato da quando ero bambino. Mi piace pensare che mi ricordo più vittorie che scon tte, ma sono contento di avere anche perso alcune volte: non sarei forte come sono se non mi fosse successo».

Qual è il momento più bello di una gara? «Forse la partenza, ma io amo tutta la gara perché non sai mai cosa succederà: ogni singolo secondo della corsa è un viaggio dentro l’ignoto. Parti e pensi che vuoi vincere, ma tra te e la vittoria succedono talmente tante cose: puoi sbagliare, possono saltare i freni, si può rompere il motore, oppure puoi fare tutto alla perfezione». Che cosa le piace della velocità? «Quando ero bambino e andavo in macchina con mio papà pensavo che lui guidasse velocissim­o e immaginavo fossimo dei piloti: non avevo nessuna paura. Poi ho iniziato a guidare io i kart, giravo veloce e quella velocità per me era sempliceme­nte vivere. Ed è ancora così: quando vado a più di trecento all’ora io sto vivendo». Quindi odierà la lentezza. «Niente a atto. L’automobile che guido più spesso a Montecarlo, dove vivo, è una Smart. E, motori a parte, anche nella vita amo la lentezza: mi piace stare sul divano a guardare la Tv, o leggere un libro. Anche se faccio fatica a trovare libri che mi piacciano davvero. Finora nessuno ha battuto, nella mia personale classi ca, l’Alchimista di Paulo Coelho». Lei ha a che fare con la paura ogni giorno. «No». Mi sta dicendo che non ha paura? «No. Cioè so che cosa sia, ma non la sento. Non ho mai paura quando salgo in macchina e credo che questo mi aiuti a fare le cose che faccio. Penso che tutti noi piloti abbiamo questa specie di insensibil­ità alla paura, che non riguarda solo correre, ma anche altre cose della vita. La paura ti blocca, ti imprigiona. La paura di dire, quella di fare, anche la paura di pensare. Per me non è così». E la paura di quelli che le stanno accanto e le vogliono bene, come la maneggia? «So di alcuni piloti che hanno mamme o mogli che si terrorizza­no ogni volta che corrono. La mamma di Nico Rosberg, per esempio, non viene mai alle gare, e credo non lo guardi nemmeno in Tv. La moglie di mio padre, Linda, che per me è come una madre, all’inizio aveva paura, ma ha sempre preferito esserci piuttosto che rimanere a casa. Mia madre Carmen invece è proprio come me: completame­nte rilassata». Ha un rapporto speciale con la sua auto? «Ogni stagione guido quattro o cinque auto diverse, quindi non ho un’auto sola che posso dire sia mia. Con ognuna di loro ho sviluppato una comunicazi­one, un linguaggio. Loro mi regalano emozioni e io devo ascoltarle, ma a volte guidare è come essere un giocoliere che fa saltare cinque palline, però ha solo due mani. Devi prendere delle decisioni: ciò che distingue chi arriva primo da chi arriva secondo è che il primo ha preso le decisioni migliori». Quando l’ho intervista­ta otto anni fa lei mi disse di avere un grande rispetto per i soldi. Nel frattempo è diventato uno degli sportivi più ricchi del mondo. È ancora quel ragazzo che, mi raccontò, si faceva la spesa da solo al supermarke­t? «Otto anni fa non avevo nessun controllo sulle mie nanze e non mi godevo niente di quello che guadagnavo: mio padre era il mio manager, allora, e io non mi compravo auto, case, non facevo investimen­ti e nemmeno errori coi miei soldi, che è anche questa una lezione di vita. In questi anni invece ho fatto molto, i miei acquisti migliori sono stati nel campo dell’arte, e le case per mia mamma e mia sorella. Ma mi faccio sempre la spesa da me e ho lo stesso rispetto per il denaro che avevo allora: quando ti piombano addosso tutti quei soldi è facilissim­o perdere la testa, bisogna

rimanere lucidi. Ma anche divertirsi. Non ha nessun senso avere un conto in banca che esplode e non godersi la vita». Quando la vita cambia così tanto, anche i rapporti possono cambiare. I suoi amici, per esempio, sono sempre gli stessi? «I miei amici più cari li conosco da vent’anni. Il mio migliore amico, Jam, l’ho conosciuto alle superiori, un giorno in cui non sapevo come tornare da scuola. Io camminavo per strada e lui si è fermato con la bici e mi ha fatto sedere dietro di lui sul sellino. E da allora non ci siamo più persi: lui e altri sono le mie radici, insieme alla mia famiglia». Però vedo sui social, dove lei è molto attivo, che frequenta tante persone famose. «È vero: negli ultimi anni ho conosciuto tantissima gente. Non è facile fare amicizia in certi ambienti: le persone sono tutte molto impegnate, come lo sono io». Visto che è diventato testimonia­l di L’Oréal Men Expert, devo chiederle se si piace. «Mi curo parecchio, mi piace correre e devo farlo: un pilota che pesa è un pilota lento. Ma lo faccio anche per la mia immagine: ovunque vada c’è qualcuno che mi fotografa, come appaio è molto importante. C’è sempre una grandissim­a pressione sulle donne riguardo al loro aspetto sico. Credo dovreste pretendere anche voi che gli uomini siano sempre in forma e al meglio. Anche se so che ad alcune donne piacciono quelli che non si radono e non si lavano, ma credo siano una minoranza». Lei dell’uomo rude ha i tatuaggi. «Mi piacciono tantissimo i miei tatuaggi e penso ogni giorno, davvero ogni giorno, di farmene uno nuovo. Mi sono appassiona­to ai tattoo grazie a mia sorella, che ha 10 anni più di me, e ha sposato un tatuatore. Passavo ore a guardarlo lavorare e nalmente mi sono fatto il primo anche io. Ma quando ne hai fatto uno ne vuoi subito un altro. Sono la cosa che mi piace di più di me». Qual è il suo preferito? «Quest’aquila che ho sul collo. Mi piace perché il mio amico Jam mi ha sempre chiamato occhi d’aquila: dice che io vedo tutto, noto tutto. E poi l’aquila vola dove nessuno riesce a volare». Oltre a essere un pilota, è anche un musicista. Ho letto che ha scritto una canzone dedicata alla sua ex danzata, Nicole Scherzinge­r. «L’ho letto anch’io, ma è una gigantesca cazzata. Ovviamente le canzoni si basano sempre sulle esperienze che fai, sui sentimenti che ti suscitano. Io compongo canzoni lente, altre da ballare: mischio i generi. Ogni giorno nel mondo escono canzoni nuove e diverse. E questo è possibile solo perché la musica è qualcosa di in nito». Vorrebbe fare il musicista quando avrà chiuso con le corse? «Io sono già un musicista. O, meglio, un artista. Non pensavo lo sarei diventato quando ho cominciato a comporre, ma ora penso di potermi de nire così. Non penso mai alla musica in termini di carriera, perché ho la convinzion­e che, se prendi le cose seriamente, smetti di divertirti». La fotografan­o con tante ragazze: ha una danzata? «Ogni tanto mia sorella mi chiama e mi chiede: esci davvero con quella tipa? E io la tranquilli­zzo: no, siamo solo amici. E lei: davvero? E io: ma sì, è danzata. E nella stragrande maggioranz­a dei casi è vero: mi fotografan­o con amiche. La gente ti vede a cena con una donna e si fa strane idee, cosa che non mi importa, comunque». Ma non ha risposto alla mia domanda. «Sono ancora single. E devo dire che è un’esperienza interessan­te. Sono stato single praticamen­te per tutti gli anni della scuola no al college: nei weekend, quando tutti uscivano, io ero da qualche parte a correre. Mi ero innamorato di una bambina alle elementari, ma lei usciva con il più popolare della scuola, e non mi guardava. L’ho inseguita per anni e nalmente, quando eravamo più grandi, siamo stati insieme, ma solo per due settimane. Anche alle superiori mi è successa una cosa simile: mi sono innamorato di una mia compagna di classe e le sono stato dietro per anni. La mia prima storia l’ho avuta a 17 anni, lei ne aveva 21 ed era tedesca. E poi dai 18 ai 24 anni ho avuto una relazione stabile ( con Nicole Scherzinge­r, ndr) e poi un po’ di on e o . Questo è il primo lungo periodo in cui sono solo e devo dire che in questo anno ho imparato a conoscermi un po’ di più, a osservare come il tempo mi ha cambiato e fatto crescere. Lavoro tantissimo, viaggio tantissimo, ma sto anche con me stesso come non ero mai riuscito a fare prima». Si sente mai solo? «Credo di non averne il tempo. Solo qualche volta mentre viaggio, o quando disfo le valigie in qualche hotel, sento la mancanza della mia famiglia, dei miei amici e sì, anche di una compagna con cui passare il tempo e condivider­e le esperienze. Ma succede molto, molto, raramente». Che cosa cerca in una storia d’amore? «Domanda di cile. Se mi sta chiedendo se ho un modello di donna, la risposta è no: la mia prima ragazza era tedesca, la seconda olandese, la terza di Hong Kong, la quarta mezza hawaiana e mezza lippina. Scherzi a parte, le cose che cerco forse sono autenticit­à, divertimen­to, ridere insieme, ducia, una comunione di valori e di progetti sul futuro, come condivider­e l’idea di avere una famiglia e dei gli. Ma soprattutt­o la possibilit­à di essere me stesso, ed essere accettato per quello che sono. Quando ti dicono che devi cambiare, è nita».

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