Un hotel di nome Giulia
posizionato a due passi dal Duomo e dalla Galleria Vittorio Emanuele, si chiama Giulia, ed è firmato dalla star degli interni Patricia Urquiola. È il nuovo arrivato degli hotel Room Mate, catena di alberghi fondata dallo spagnolo Kike Sarasola con una filosofia che offre un incrocio tra budget contenuto e servizi innovativi nei luoghi più strategici delle grandi capitali. Incontriamo Patricia Urquiola per parlare di Giulia e di sé, ovvero dell’abitare contemporaneo. Un design che asseconda il genius loci come cardine del suo creativo progettare: «L’importante è la sensazione che rimane dopo aver abitato un luogo. In questo edificio d’epoca ho riunito tante piccole memorie di sapore milanese». È andata a guardarsi intorno, per selezionare i tanti rimandi culturali? «In giro per questa città ci sono stata per trent’anni, passati magnificamente». Cosa nota di più il suo occhio d’architetto quando entra in un ambiente? «Mi arriva un tutto, credo di avere uno sguardo tridimensionale, anzi in 4D, aggiungendo il senso del tempo che passa. In testa, resta quello che depuri dalla memoria». Il design è? «Pensare e ri-pensare all’uso delle cose». Per il Room Mate di nome Giulia, fresco e accogliente fin dall’ingresso che sfodera pareti in cotto lombardo e tappeti sul pavimento in marmo rosa, quello già utilizzato per il Duomo, Urquiola ha ripensato molto. Ci sono i vetri cannellati dei tram e delle mercerie d’epoca, però usati come moderni filtri divisori, c’è il classico ottone dei vecchi bar, qui tradotto in una lamiera leggera e cangiante. La griglia grafica di suo design si associa alla carta da parati come rimando alle boiserie dei locali storici, in una fantasiosa rivisitazione vintage delle stanze. Un insieme ultra giovane con arredi di Cassina, azienda di cui Urquiola è direttore artistico. Come sta cambiando il modo di abitare i luoghi pubblici? «Nelle sale d’attesa di un aeroporto, nelle hall d’albergo, nei salotti, oggi si conversa, si mangia qualcosa e si lavora, ognuno con le sue piccole protesi tecnologiche. Il futuro è polifunzionale». Un’immagine che le viene in mente? «Saranno necessari nuovi concetti di screen e divisori, per scenari sempre più virtuali». Il suo senso dei paraventi? «Una suddivisione non completa, quindi agile e modulata. C’è da giocare con il passaggio di luce e con la possibilità di una certa gestione del suono». In una casa, che cosa è fondamentale? «Gli ambienti devono corrispondere ai talenti di chi ci abita». Casa sua com’è? «In perenne transizione. Le cose salgono e scendono dallo studio, è molto abitata. Non è una casa immagine, mi piace così».