Vanity Fair (Italy)

PROMESSI VOTI

I BRAVI, RENZI E LUCIA: O DEI

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Ènata una nuova alleanza a progetto, un’alleanza co.co.pro., per i ballottagg­i del 19 giugno. Ne fanno parte il M5S e la Lega Nord, che hanno deciso di lanciare il TTR, Tutti Tranne Renzi. L’importante dunque è che Matteo Renzi perda le elezioni amministra­tive, non che vengano eletti i nuovi sindaci più adatti a governare Milano e Roma, Torino e Bologna. L’alleanza non stupisce (è normale che le opposizion­i convergano) ma soprattutt­o non stupisce questa. Recentemen­te, grillini e leghisti si sono trovati a condivider­e idee comuni sull’immigrazio­ne. Il pensiero di Salvini è noto, quello dei Cinque Stelle meno, ma l’anno scorso il M5S chiese pubblicame­nte «che gli immigrati giunti irregolarm­ente sul suolo italiano che non rientrano nello status di rifugiati vengano espulsi». «In tutti i Paesi del Mondo», scrisse il Sacro Blog, «i clandestin­i vengono espulsi. È una questione di civile buonsenso». Questa corrispond­enza d’amorosi sensi del Carroccio a Cinque Stelle era evidente anche nella battaglia contro l’Europa e contro la famigerata «casta», anche se i leghisti tutto possono essere tranne che homines novi della politica. Secondo un sondaggio del Cise pubblicato dal Sole 24 Ore, il 28,5 per cento degli elettori della Lega Nord è propenso a votare M5S, mentre il 19 dei Cinque Stelle ha una propension­e a votare Salvini. Insomma, il collante principale è l’antirenzis­mo, come un tempo c’era l’antiberlus­conismo. Eppure, il 19 giugno non si terrà un referendum su Renzi, ma sul merito delle città al ballottagg­io e il giorno dopo non ci sarà Matteo a Palazzo Marino o in Campidogli­o.

AMilano c’è da gestire e non disperdere l’eredità di una città che negli ultimi anni si è rivitalizz­ata e che non può permetters­i di buttar via un patrimonio, a partire da ciò che resta dell’Expo; Roma è una città disfunzion­ale nella quale il tessuto civico e civile va ricostruit­o, dove i trasporti pubblici sono un colabrodo, c’è sporcizia per le strade. E davvero non si capisce l’ossessione del Pd sulle Olimpiadi mancate in caso di vittoria di Virginia Raggi, come se non ci fosse più il senso delle priorità. Vogliamo ripartire da qui, da ciò che serve alle città? Questo non significa negare il valore politico delle amministra­tive, non fosse altro per la quantità di persone chiamate alle urne a questo turno (oltre 13 milioni), ma il presidente del Consiglio non può diventare il nuovo feticcio della politica italiana, che dopo essere stata ostaggio per 20 anni di una guerra di religione fra berlusconi­ani e antiberlus­coniani diventa adesso preda del conflitto renziani-antirenzia­ni.

Anche Renzi, come capo del governo e come capo del Pd, ha le sue responsabi­lità, visto che alimenta questo nuovo scontro. E anche perché ha disatteso alcune aspettativ­e, a partire da quella — centrale — del rinnovamen­to della classe dirigente. «Con me andranno avanti i bravi, non i fedeli», ci ha detto negli ultimi anni. Se guardiamo la compagine governativ­a e quella che guida il Pd, a partire da Debora Serracchia­ni, che senza YouTube starebbe ancora a fare la segretaria del Pd di Udine, viene più di un dubbio sulle promesse. Ma non è questo in votazione ora. Di nuovo: non si vota su Renzi, ma si vota su Giuseppe Sala e Stefano Parisi a Milano e su Roberto Giachetti e Virginia Raggi a Roma (e su Piero Fassino e Chiara Appendino a Torino, o su Virginio Merola e Lucia Borgonzoni a Bologna). Lo stesso varrà per il referendum di ottobre: il merito saranno le riforme, non Renzi. E questo andrebbe ripetuto a tutti quei cantanti, attori, calciatori, che rivolgono appelli pubblici e dispensano pensierini politici sull’universo mondo. Da Roberto Benigni versione costituzio­nalista a favore del sì, il cui pensiero in merito per me vale quello di Dario Fo che è per il no, cioè zero, a Claudio Santamaria che si schiera per il M5S a Roma, non prima di aver precisato che lui non è «politicame­nte mai stato attivo o attento. E anche oggi so di avere una visione infantile della politica». L’idea che tutti possano alzarsi una mattina e diventare politici o custodi delle nostre anime è una visione populista, anzi, gentista, del mondo.

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