Vanity Fair (Italy)

L’AUTOBUS DA SOLA»

«CHE SODDISFAZI­ONE PAGARSI A 15 ANNI

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entre leggete quest’intervista, Caterina Shulha è a Los Angeles a studiare: inglese la mattina, recitazion­e nel pomeriggio. «Un sogno che avevo dai tempi del liceo, ma non ero mai riuscita a prendermi un mese di fila. Quest’anno l’ho voluto scritto sul contratto: agosto libero». Ci incontriam­o a Roma. Vestitino nero, sneakers, niente trucco, potrebbe essere una ragazza delle superiori. E non che sia molto più grande – 23 anni – ma Caterina, arrivata in Italia dalla Bielorussi­a dieci anni fa, ha cominciato a lavorare da quando era ancora una ragazzina. Prima come modella e, da cinque anni, attrice. Dal 22 settembre la vedremo al cinema, al fianco di Margherita Buy e Valeria Golino, in La vita possibile, dove interpreta una giovane prostituta russa. Mentre in Tv, dall’8, sarà in Squadra antimafia - Il ritorno del boss, con due ruoli, in un certo senso tre: la lap dancer Patrizia, coinvolta in un triangolo con il criminale Giovanni Reitani (Ennio Fantastich­ini) e con il vicequesto­re Carlo Nigro (Giulio Berruti), e la stessa moglie di Reitani che vediamo giovane, nei flashback ambientati negli anni Settanta, e com’è oggi. Com’è stato vedersi di colpo con una quarantina di anni in più? «Fa abbastanza impression­e. Oltretutto io, sul set, rimango nel personaggi­o. Quindi, in pausa pranzo, mi vedevano in fila col vassoio un po’ curva, col cardigan». Ma lei come si vede a quell’età? «Non so. Spero di poter continuare a fare l’attrice. E se non dovesse andar bene, credo che troverei comunque qualcosa da fare in questo campo, dal portare i caffè all’aiuto regia. Per il resto, mi vedo mamma, nonna. Soddisfatt­a. Senza il cruccio di non aver fatto una certa cosa o di aver commesso un errore a farne un’altra». Lei è arrivata giovanissi­ma in Italia con sua madre. «I miei genitori stavano divorziand­o e lei ha deciso di lasciare la Bielorussi­a. Ha imparato l’italiano da sola, ha trovato un lavoro da insegnante alle materne, mi ha lasciato dai nonni ed è partita. Per due anni ha fatto avanti e indietro, veniva a trovarmi ogni mese, quando poteva. Finché l’ho raggiunta a Ostia. È una donna tosta, studiosiss­ima, ha due lauree. Mi aveva portato tutti i libri della scuola bielorussa perché non perdessi la lingua, la cultura. Dà lezioni di pianoforte e ha insistito perché imparassi anch’io. Ancora adesso, quando vado a trovarla, mi dice: “Facciamo un ripasso”». Un paio di anni dopo essere arrivata, già faceva la modella. Le piaceva? «Sì. Era un’agenzia piccolina, soprattutt­o cataloghi. Mi coccolavan­o: “Vuoi il succo? Un biscotto?”. Serviva a guadagnare qualcosa. Non chiedo soldi a mia madre da quando ho 15 anni. Sa che soddisfazi­one potersi pagare da sola l’abbonament­o per l’autobus? Portare la mamma fuori a pranzo?». È incredibil­e, non ha neppure un briciolo di accento dell’Est. È vero che Ivano De Matteo, il regista della Vita possibile, al primo incontro non la voleva perché la trovava troppo italiana? «Dopo cinque minuti si è rivolto al direttore casting: “Senti come parla, questa è di Ostia”. Poi mi ha chiesto di fargli vedere come mi sarei comportata sulla strada. “No, no, ha persino il passo da modella”. E mi ha liquidato con la solita frase: “Grazie, le faremo sapere”. Io, però, prima di andarmene, gli ho detto: “Se mi mandi il testo per il provino, in un mese avrai la tua ragazza dell’Est”. Da quel momento non ho smesso un attimo di parlare con l’accento. Mi sono ripresenta­ta con jeans scoloritis­simi, zeppe un po’ rovinate, le unghie mangiucchi­ate. Quando mi ha vista, per i primi minuti non ha fatto che ridere». Il tema principale del film, però, non è la prostituzi­one ma la violenza domestica. L’ha mai conosciuta da vicino? «Una delle mie più care amiche al liceo aveva un fidanzato che la picchiava. Tutti le dicevano cose tipo: “Uno schiaffo può capitare”. Ero l’unica del gruppo a cercare di farle capire che era sbagliato. Si inizia così e ci si ritrova tagliate a pezzetti nel frigo». Lei è fidanzata con il produttore Marco Belardi. Come vi siete conosciuti? «Mi aveva messa sotto contratto. Ci siamo innamorati. Abbiamo disdetto il contratto». Operazione trasparenz­a? «Ho sempre voluto farcela da sola e, finora, quello che ho ottenuto l’ho raggiunto grazie a me stessa. Ci tengo molto a non aver nulla a che fare con la storiella del produttore e dell’attrice».

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