Vanity Fair (Italy)

M5S HA VINTO

DATE RETTA ALL’ELEFANTE:

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sentire e leggere le campagne elettorali referendar­ie dei due comitati, sembra che l’Italia il 4 dicembre dovrà scegliere fra il Bengodi e una dittatura fascista. Si dirà che la propaganda è propaganda, e che un conto è #bastaunsì e #iovotono, un altro conto poi sono i contenuti della riforma. Eppure la propaganda è anche sostanza, specie nella società dell’evento come quella di oggi. Venerdì 30 settembre il M5S è sceso in piazza della Repubblica a Firenze contro la riforma, cantando Bella ciao. Ma davvero c’è bisogno di scomodare l’afflato resistenzi­ale per questo referendum? E se un giorno – diocenesca­mpi – ci trovassimo davvero di fronte a un’emergenza democratic­a, che cosa dovremmo dire e fare? Un appello ai parlamenta­ri: basta minchiate col botto, come quella della senatrice Enza Blundo del M5S: «Ieri De Luca assolto, oggi #Bertolaso! Una vergogna dietro l’altra. Basta il 4 dicembre, riprendiam­oci il Paese #IoVotoNo». Riprendiam­oci il Paese da cosa? Sembra che al governo ci siano degli usurpatori. Il 4 dicembre non è un

A25 aprile e bisognereb­be avere anche l’onestà intellettu­ale di ammetterlo. Anche perché fa un po’ ridere l’assalto via Internet contro #pdioti e #pdmerdwork, salvo poi quando il «pdiota» di turno diventa assessore al Bilancio. A Roma Virginia Raggi ha scelto Andrea Mazzillo, ex iscritto al Pd, come assessore al Bilancio. Non è una novità: anche a Livorno il primo assessore all’Ambiente, Giovanni Gordiani, era un ex Pd. D’altronde, se non hai classe dirigente, sei costretto a trovarla altrove. on è che, beninteso, il fronte del Sì – tradotto: il Pd – si stia comportand­o meglio. «Cara Italia, vuoi diminuire il numero dei politici? Basta un sì» è uno dei cartelloni elettorali spuntati nei giorni scorsi. «Assistiamo a quello che succede quando la banalità, il qualunquis­mo anti-casta, l’inseguimen­to di un pericoloso senso comune, il populismo diventano la cifra di un governo», dice la politologa Sofia Ventura. In effetti è preoccupan­te questa grillinizz­azione del Pd: anziché rivendicar­e che la politica e la democrazia hanno un costo, e dire che non tutto ciò che viene speso per le amministra­zioni pubbliche è spreco, anziché imporsi perché tutti i soldi siano ben

Nspesi (che è diverso dall’invocare tagli indiscrimi­nati), il Pd fa propri i frame dell’avversario, proprio come per anni hanno fatto i progressis­ti americani con l’agenda politica dei conservato­ri. Che cosa si intende per frame? Ne scrisse George Lakoff in Don’t Think of an Elephant!, pubblicato in Italia da Fusi Orari con il titolo Non pensare all’elefante! I frame, secondo Lakoff, servono a categorizz­are la realtà. Se qualcuno vi parla di un ospedale, per dire, voi penserete a medici che operano pazienti, non a pazienti che operano medici. In politica, il framing è la capacità di orientare una discussion­e pubblica attraverso parole e concetti che servono a imporre la propria agenda, attraverso anche (e non solo) manipolazi­oni. Il framing serve cioè a dare un taglio alla realtà. Il frame imposto dal M5S sono i soldi e, così come l’elefante di Lakoff cui non dovremmo pensare – uno non vorrebbe pensarci, ma poi gli viene in mente proprio quell’animale con la proboscide – al Pd ora vengono in mente i quattrini. Significa che il framing del M5S è stato efficace. ice Lakoff che in politica «vince chi costringe gli avversari a giocare sul proprio terreno. Vince chi mette i propri rivali nelle condizioni di mostrarsi all’elettore come una comparsa insignific­ante nel frame creato da chi tiene il pallino in mano. Usare bene i frame significa dettare l’agenda politica, significa costringer­e l’avversario a giocare sempre con regole scritte da te e significa riuscire a far discutere i tuoi rivali degli argomenti che tu in teoria padroneggi meglio di chiunque altro». Il Pd potrà anche battere il fronte del No, ma il populismo del M5S ha già vinto la sua battaglia.

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