Vanity Fair (Italy)

DOTTOR OSCAR

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ietro Bartolo è così. Il dolore del mondo lo riguarda, non lo lascia dormire. Vive per gli altri. Prima per curare i suoi compaesani di Lampedusa, ai quali si è dedicato dopo la laurea in Medicina quando sull’isola non c’era neanche l’aeroporto, e ora, da venticinqu­e anni, per curare anche i migranti che arrivano dall’altra parte del mare mezzi morti per il freddo, la sete, le ustioni della benzina, le ferite della guerra, la fame, la solitudine, le violenze e la disperazio­ne.

Pietro Bartolo, figlio di un pescatore, aveva cinque sorelle e un fratello malato. Il padre poteva far studiare solo uno di loro e, per non far torto a nessuno, una sera fece un sorteggio coi bigliettin­i per vedere chi doveva mandare all’università, solo che su tutti i biglietti era scritto un solo nome: Pietro. Perché Pietro, il bambino mingherlin­o e chiacchier­one coi calli sotto i piedi a furia di correre tutto il giorno senza scarpe, aveva un destino. Un giorno Pietro Bartolo avrebbe camminato sul red carpet a Berlino dietro a George Clooney – senza mutare la sua espression­e dolce, concentrat­a, di chi sta pensando alla piccola Favour o a Kebrat, la ragazza che avevano messo nei sacchi dei morti e che

Plui ha rianimato – perché è il protagonis­ta di Fuocoammar­e, il film di Rosi che l’Italia ha candidato agli Oscar, ma è soprattutt­o un uomo che ha scritta nella sua vita la storia di chi è nato per aiutare gli altri. Ho letto Lacrime di sale – scritto da Bartolo con Lidia Tilotta, bravissima giornalist­a del Tgr di Palermo (non poteva scegliere socia migliore) – sul treno per Ferrara, diretta alla loro prima presentazi­one. Seduto di fronte a me c’era un ragazzo nero con una polo rossa che mi ha passato un fazzoletto di carta perché tiravo su col naso. Poi ha indicato la copertina e mi ha detto: «Lui è bravo». ietro Bartolo dal primo sbarco del Novantuno assiste i migranti, li cura e li ascolta. Ne ha accolti migliaia. Di centinaia ha ispezionat­o i cadaveri, che di notte tornano nei suoi incubi. È una persona affettuosa, un uomo che sente il dolore e l’ingiustizi­a del mondo come ferite personali. Sa cosa vuol dire rischiare di morire in mare perché a sedici anni stava per affogare. Sa cos’è la solitudine perché da ragazzino ha dovuto lasciare la famiglia e la sua isola per andare a studiare in Sicilia da solo. Sa cos’è la povertà e cos’è la malattia. Attraverso i suoi occhi e la storia della sua vita capiamo quanto sia impensabil­e restare indifferen­ti di fronte alla più grande emergenza umanitaria del nostro tempo.

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