LA SUA DANZA È POESIA
Roberto Bolle fa parte di quella tribù rarissima di umani che pur facendo una cosa esclusiva, generalmente destinata a pochi, arrivano al cuore di tutti in tutto il mondo. Quanti ogni anno passano dalla Scala o dal Metropolitan di New York per assistere al balletto classico? Pochissimi in confronto ai milioni che, se gli domandi il nome del più grande ballerino classico che c’è, rispondono subito Roberto Bolle. Quello stesso innumerevole popolo che conosce Pavarotti anche senza mai aver visto un’opera o Einstein anche senza capirci di fisica quantistica. Arrivano al cuore, per via di qualcosa di misterioso che hanno. Io lo so cos’è: è l’anima. Forse viene fuori a forza di sacrifici, o forse esiste prima dei sacrifici, questo è un mistero, ma di fatto la sua è una vita di totale sacrificio di sé al dio della danza da quando aveva 6 anni. Quando incontro Bolle lo tartasso di domande, sul suo lavoro, sulla preparazione, la dedizione, lo studio, il training, l’alimentazione, e ho capito che in lui convivono elementi che basterebbero presi singolarmente a fare un primo ballerino di un grande teatro, ma solo tutti insieme fanno scaturire l’anima e nasce Roberto Bolle con la sua poesia, il più grande, quello che ha rinnovato il linguaggio della danza classica portandola nel futuro senza farle perdere niente della sua storia meravigliosa passata. Una sera di qualche mese fa ero andato a vedere Bolle che faceva Romeo e Giulietta e, scherzando sul mio compleanno imminente, alla domanda su che cosa avrei desiderato come regalo ho risposto “ballare”. Il giorno dopo mi ha chiamato per invitarmi al suo programma su Raiuno e gli ho detto: “Che cosa vuoi che canti?”. “Balliamo”, mi ha risposto. E così è capitato che ho ballato con Bolle su una coreografia vera, provando tre giorni insieme a lui, che è come parlare di relatività con Einstein, o fare una corsetta con Bolt o un graffito sul muro con Picasso, una cosa così. Un regalo pazzesco.