Vanity Fair (Italy)

«Zì badrone» 2.0

Un nero riporta la schiavitù nella Los Angeles di oggi: il nuovo romanzo di Paul Beatty è il più scorretto (e rivoluzion­ario) degli ultimi anni

- Di MICHELE NERI

i sono romanzi che all’inizio sembrano troppo assurdi per essere veri, e poi, per nostra fortuna, non solo lo sono, ma si scopre che la loro follia è intelligen­za paradossal­e e sfrenata. Lo schiavista, il quarto dello scrittore afroameric­ano Paul Beatty, si avvicina a libri rivoluzion­ari come Comma 22 di Joseph Heller e Lamento di Portnoy di Philip Roth. Accolto dalla critica come il più esilarante e scorretto romanzo del XXI secolo, è finalista al Man Booker Prize 2016. Il protagonis­ta è un nero, si chiama Bonbon Me. Figlio di uno psicologo che lo sottoponev­a, bambino, a dolorosi test psicofisic­i per capire in che cosa consistess­e l’essenza del suo colore, sopravvive vendendo marijuana e angurie quadrate. Quando lo Stato della California cancella dalla mappa «Dickens», il ghetto a sud di Los Angeles in cui vive, Bonbon ne fa l’avamposto di un razzismo di ritorno; introduce la segregazio­ne, si prende un suo schiavo «negro» che risponde «Zì, badrone» e paga una dominatric­e Bdsm per frustarlo. L’ordine ritorna, la popolazion­e è felice. Bonbon finisce però davanti alla Corte Suprema. Attende la sentenza come ci si aspetta da un

C«negro»: preparando­si una canna. Beatty sfrutta humour nero e ironia per toccare una ferita della coscienza americana: non aver ancora risolto la questione razziale. Beatty, perché ha scritto questo libro? «Volevo un testo difficile da ignorare: e pensavo che attualizza­re la segregazio­ne fosse un buon modo». A che cosa si è ispirato? «Aneddoti famigliari e di amici. E all’elezione di Obama, che ha costretto molti americani a riesaminar­e in che cosa consistess­e la loro nozione di progresso». Che cosa la preoccupav­a, mentre scriveva? «Che il lettore non fosse capace di gestire le contraddiz­ioni e la sfrontatez­za di protagonis­ti e linguaggio». Il sarcasmo è l’unico modo per parlare di certi temi? «Non mi sembra un libro sarcastico. Certi giorni posso trovare divertenti alcuni passaggi, ma in altri non mi sembrano affatto tali; non per questo sono meno lucidi, efficaci». Il bersaglio principale del romanzo è l’ipocrisia? «Il “bersaglio principale” sono io». Che cosa si aspetta dalle elezioni di novembre? «Una democrazia più sfumata».

LO SCHIAVISTA

di Paul Beatty (Fazi Editore, pagg. 368, ¤ 18,50, trad. di Silvia Castoldi, dal 6 ottobre)

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