Vanity Fair (Italy)

Una faccia “in costume”»

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Che rapporto ha con la magia e il soprannatu­rale? «Mi piacciono molto i giochi di prestigio: da bambino andavo spesso in un negozio di magia a Charing Cross, si chiama Davenports, c’è ancora. Mi faceva davvero paura quel posto, ma lì trovavo tutti gli attrezzi del mestiere per fare il prestigiat­ore. A parte aver provato a praticare questa forma di magia, però, in quell’altra, quella con la M maiuscola, il soprannatu­rale, non ho mai creduto. Mi ritengo una persona decisament­e razionale». Se fosse un mago come Newt, che potere vorrebbe avere? «Quello dell’invisibili­tà. Sono terribilme­nte curioso: ascolto le conversazi­oni altrui cercando di non farmi notare. Se fossi invisibile mi riuscirebb­e decisament­e meglio». Oltre che prestigiat­ore, da bambino sognava anche di diventare attore? «Si, lo sogno dalla prima recita scolastica e dalla mia prima volta a teatro, quando ho pensato che non ci fosse posto più bello al mondo, un luogo in cui si poteva fuggire da tutto. Ma se da subito ho capito che questo era quello che avrei voluto fare, non ero altrettant­o sicuro che ci sarei riuscito per davvero. A leggere le statistich­e su quanti ce la fanno e quanti no, viene da scoraggiar­si. È una strada davvero difficile e io credo di essere stato molto, molto fortunato. Quando ho finito l’università mi sono trovato un agente e ho pensato: ok, ci provo per un anno, uno soltanto. Se va, bene. Se non va, faccio altro. E invece ho avuto una parte, ho girato una pubblicità in Tv, una cosa si è portata dietro l’altra». Aveva un piano B? «Ho studiato storia dell’arte e immaginavo di fare il mercante, ma non sono affatto sicuro che sarei riuscito in quella profession­e. Quindi il piano B del piano B sarebbe stato fare il curatore di qualche museo». E invece è finita che ha già vinto un Oscar con La teoria del tutto. La statuetta ha alzato la sua asticella personale o la rende più sicuro nel suo lavoro? «Tutti pensano che, dopo che hai vinto un Oscar, lavorare diventi più facile. Ma ogni interpreta­zione è una cosa a sé, fai bene o fai male, e se fai male te ne accorgi anche se a casa hai la statuetta. Vincerla è stato bellissimo e straordina­rio, tanto straordina­rio che a volte penso di non averla nemmeno vinta io, ma qualcun altro». Non ha nemmeno influito sulla scelta dei copioni? «Con le storie che mi propongono vado a istinto e a sensazioni, anche fisiche: se leggo un testo che mi muove qualcosa dentro, che mi fa piangere o ridere, va bene. Ci sono copioni che trovo buoni, anche ottimi, ma me lo dice la testa, non la pancia, e allora tendo a scartarli. Altri invece magari non sono ben scritti, ma mi appassiona­no, e questo è un segnale che ascolto sempre». Sua moglie non fa l’attrice. Questo complica le cose o le semplifica? «Hannah si occupa di antichità, che è il campo nel quale anche io mi sono formato, e non ho mai pensato se sarebbe stato meglio o peggio se fosse stata un’attrice. Quel che è vero è che il mio mestiere mi porta a essere impegnato lontano da casa per tempi lunghissim­i: sei, sette mesi. E se anche lei facesse la stessa cosa, temo che vedersi e stare insieme sarebbe davvero complicato. La cosa bella della nostra famiglia è che se io devo spostarmi per le riprese o per promuovere un film, vengono anche Hannah e Iris, la nostra bambina. Per me è davvero importante avere una famiglia unita e – anche se amo viaggiare – tornare a Londra, dove ci sono le mie radici». Iris ha solo quattro mesi. Com’è fare il papà? «Bellissimo, davvero bellissimo. Lo sono da poco, ma ci sto prendendo gusto. Diciamo che è una cosa piuttosto... insonne, ma lei è straordina­ria e io molto fortunato». È così che si aspettava questa esperienza? «Penso di non aver mai avuto un’idea precisa di che cosa sarebbe stato realmente avere un figlio. Ma, pur nella mia brevissima esperienza, posso confermare che tutti i cliché sono veri: ti cambia la vita. E anche se non ho dormito tutta la notte e sono a pezzi, quando lei mi sorride non capisco più niente». Guarda alle cose in un modo diverso, ora che c’è Iris? «Per ora mi sveglio ogni mattina e sono solo sorpreso e grato che sia qui, e viva!». Lei fa solo film in costume. Come mai? «Pensi che anche nel prossimo film, The Last Days of Night, sono un avvocato del Tennessee ai tempi dell’elettrific­azione dell’America. Non lo so perché faccio solo film storici, avrò una faccia “in costume”. E io che sogno, un giorno, di recitare in jeans e felpa». l’attore con Katherine Waterston, 36 anni, Alison Sudol, 31, e dan Fogler, 40, in Animali fantastici e dove trovarli. In alto, con la moglie Hannah Bagshawe, 34, e la figlia Iris, 4 mesi. Pagg. 86-87:

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