Ma iosi a nostra insaputa
Bastano una pizza o una festa per aiutare i clan, senza volerlo: è la tesi di un libro che apre gli occhi. La buona notizia? Si può fare qualcosa
Bernardo Provenzano che, da latitante, patrocina il premio dato dal comune siciliano di Villabate alla ction antimaa Ultimo. Le comparse di Squadra antimaa reclutate (all’oscuro della produzione) dal nipote di un boss. Il circolo «Falcone e Borsellino» di Paderno Dugnano che diventa sede «del più grande summit di ’ndrangheta degli ultimi anni». Storie dalle cronache giudiziarie degli ultimi anni, «che raccontano come la parte di società che si considera immune alla maa o dice di combatterla ne sia in realtà partecipe». Così Sandro De Riccardis, cronista giudiziario di Repubblica, nel suo La ma a siamo noi (Add, pagg. 240, € 15) racconta «tutti i modi in cui “i buoni”, cioè noi, che con la maa crediamo di non avere nulla a che fare, aiutiamo i clan». Per esempio? «Già credere di non averci a che fare è un errore. Basta, per dire, andare in discoteca o a mangiare una pizza in uno dei loro locali, moltissimi. Ristorazione e movida, compresi i servizi di security all’ingresso, sono uno dei modi privilegiati con cui la criminalità ripulisce il suo denaro e crea consenso, assumendo personale». Ma distinguerli è impossibile. «Certo, specie nelle grandi città, non è facile. Ma già leggere i giornali aiuta. E poi si può didare: per esempio del proprietario di un locale spuntato dal nulla, senza una storia di imprenditoria alle spalle. O una discoteca dove gira facilmente molta droga. Nel 2010 Cortocircuito, un’associazione di studenti emiliani, scoprì che in un’inchiesta era coinvolta anche la discoteca delle loro feste di ne anno. Ora sono impegnati nel maxiprocesso Aemilia contro le cosche in Emilia-Romagna. Bastò una visura camerale: non è impossibile. Ma ci sono anche esempi più semplici: protestare se nella propria via c’è qualcosa che non va, anche solo i riuti non ritirati». Che cosa c’entra con la ma a? «Dove c’è degrado, c’è illegalità. Se spuntano prostitute e spaccio nella propria via, non fare nta di nulla. Unirsi a chi denuncia, per non lasciarlo solo. Come l’assessora di Nardò Renata Fonte, uccisa per essersi opposta alla costruzione di un residence a Porto Selvaggio (nel 1984, ndr): il libro è pieno di esempi di chi è stato abbandonato anche dall’antimaa. La paura è umana, fare rete può aiutare a vincerla. Sì, è più impegnativo di un like su Facebook». Infatti. Di cile non chiamarsi fuori. «Basta poi non lamentarsi dello stato delle cose, o non dire “io non c’entro”. Perché se pensiamo che la maa sia quella delle ction, separata da noi, e che solo un eroe possa sconggerla, siamo complici anche noi».