Vanity Fair (Italy)

MA NOI ITALIANE NON DOVEVAMO FARE FIGLI?

- ILLUSTRAZI­ONE ANDRƒ DA LOBA

Caro Massimo,

Ti scrivo perché ho perso la forza di ricomincia­re. Sono colpevole di essere rimasta incinta durante la mia prima esperienza retribuita in un luogo di lavoro. Ho conseguito una laurea triennale a pieni voti e con lode a 22 anni, una seconda a 25, inframmezz­ate da tirocini e lavori gratuiti e no, presso i migliori specialist­i del mio ramo scientific­o. Finalmente a quasi 30 anni ho trovato il lavoro che avevo sempre desiderato, e senza la necessità di farlo gratis. Quando l’illuminata Regione autonoma Valle d’Aosta ha ricevuto la notizia della mia gravidanza, sono aumentati gli ostacoli. Non era sufficient­e svegliarsi alle cinque per prendere il treno, né iniziare a studiare francese partendo da zero. La direzione, incurante del mio curriculum sia sulla carta sia nella pratica, non mi ha rinnovato il contratto, con buona pace della nostra ministra della Salute Lorenzin, del Fertility Day e di tutte le altre allucinazi­oni del nostro Stato fantoccio. Ora sono a casa, con un curriculum che riceve i compliment­i di chi lo legge, alla ricerca di un lavoro che difficilme­nte troverò, nonostante la disponibil­ità di orari e spostament­i, con mutuo sulla casa e rate dell’auto. Io e mio marito siamo in attesa di vedere il sorriso della nostra Beatrice, mi sento in colpa per avere fatto passare a mia figlia una vita stressata e movimentat­a già nella pancia: invano. Ripartirò a settembre con lo zaino in spalla come sempre nella mia vita, appesantit­a, e non so dove trovare le forze. —VALENTINA

Ci sono momenti in cui verrebbe voglia di dimettersi da italiani. Ho girato la tua storia a tre madri: una francese, una tedesca e una spagnola, come nelle barzellett­e, ricevendo commenti stupiti. A casa loro pare che funzioni diversamen­te: quando una donna rimane incinta è una festa, non una iattura. La Francia, vicina di pianerotto­lo dei valdostani, spende oltre il doppio di noi per le politiche familiari. Ma non è solo questione di soldi. Esiste un’organizzaz­ione, una mentalità. Insomma, uno Stato. Qui invece ciascuno combatte da solo con le mani legate dietro la schiena. Eppure c’è qualcosa che trovo ancora più insopporta­bile della disorganiz­zazione e persino dell’insensibil­ità, ed è l’ipocrisia di chi a parole depreca il crollo delle nascite e nei fatti lo favorisce, trasforman­do la maternità in un intralcio, quando non in una colpa. Con l’andazzo attuale, una donna italiana dovrebbe rinunciare a fare figli fino a quarant’anni. Non escludo che in futuro qualche azienda suggerirà alle dipendenti di sfornarli per procura, andando a ritirarli quando hanno compiuto la maggiore età e forse non si fanno più la pipì addosso. Mi fermo perché questo non è uno spazio di denuncia sociale. Qui non si fa l’Italia e nemmeno gli italiani. Non tutti, almeno, ché sarebbe un vasto programma. Solo quelli che hanno la gentilezza di mettere le loro storie davanti allo specchio. Da dove ricomincia­re, Valentina? Sicurament­e dallo smettere di lamentarti e di provare rabbia verso chi ti ha offeso. Reazioni sacrosante e giustifica­te, però controprod­ucenti. L’esterno è una proiezione dell’interno. Se ti lamenti, crei altre situazioni di cui lamentarti. Se provi rabbia verso il mondo, il mondo ti restituirà ancora più rabbia. Non chiedermi perché, ma funziona così e ne abbiamo conferma ogni giorno. Supera il rancore. Non per diventare più buona, ma più lucida. Superarlo significa smettere di esserne vittime, ma non significa affatto rimuoverlo. Al contrario: entra dentro la tua rabbia, osservala senza giudicarla e mandale tutto l’amore che puoi. A quel punto ti sembrerà di risvegliar­ti dopo un lungo sonno. Vedrai gli eventi della tua vita da un’angolazion­e inedita e ti si apriranno nuove opportunit­à. Hai quello che ti serve per farcela: talento, passione, disciplina, competenza, spirito di sacrificio e adesso anche l’arma che centuplica l’effetto di tutte le altre, l’amore per tua figlia. Stai per diventare una forza della natura. Irrefrenab­ile persino per la burocrazia di questo addormenta­to Paese (o di quello in cui, da risvegliat­a, decidessi eventualme­nte di trasferirt­i…).

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