Ma «COVFEFE» potrebbe non essere un errore
In un tweet poi cancellato, qualche giorno fa, Donald Trump ha scritto una parola inventata: «covfefe». Per alcuni si è trattato di uno scherzo, come il tweet successivo sembrava far credere. Per altri, è l’ennesimo esempio che qualcosa non è a posto nel suo quadro cognitivo. Il linguaggio «basico», che ritorna ogni volta che parla in pubblico, in contrasto con la ricchezza lessicale e la sintassi complessa esibita in vecchie interviste anni ’90 reperibili in Rete, è stato studiato dal sito Stat News, che ha fatto un’analisi temporale arrivando a dire che sì, il linguaggio del Trump di oggi è più semplice e ripetitivo di un tempo. Ma attenzione: «La semplificazione del vocabolario non è l’aspetto più caratteristico del deterioramento cognitivo», dice Stefano Cappa, professore di Neurologia dello Iuss, la Scuola universitaria superiore di Pavia, ed esperto di linguaggio. «Se ci fosse deterioramento cognitivo dovremmo aspettarci più anomie (l’incapacità di nominare gli oggetti, pur riconoscendoli, ndr), un maggior uso di parole passepartout (come “cosa” e “roba”, ndr), un impoverimento della memoria semantica, tutti aspetti che in Trump non appaiono. L’altro problema è che l’analisi dell’eloquio spontaneo è poco standardizzata e rende difficile valutare un eventuale deterioramento. Che ci siano differenze è indubbio, ma potrebbe essere una scelta: Trump adotta un linguaggio più semplice per rivolgersi a una platea meno scolarizzata». simona siri