Vanity Fair (Italy)

Che faccia hanno Lila e Lenù?

- di JASON HOROWITZ

ELENA FERRANTE ha scritto le storie dell’Amica geniale immaginand­o le sue protagonis­te. L’autrice, che nonostante le rivelazion­i mantiene l’anonimato e qui risponde via mail, racconta come sia curiosa di scoprirne i tratti ora che diventano «reali» in una fiction. Anche se le bambine al casting non hanno letto i suoi libri e sognano soltanto di diventare famose

Spero che la fiction provochi emozioni autentiche: è questo che ci fa innamorare di una città

Un’amicizia lunga sessant’anni, un evento editoriale da oltre un milione di copie, un’autrice diventata a sua volta un caso: adesso la saga L’amica geniale di Elena Ferrante – pseudonimo su cui molti si sono interrogat­i, fino a darle un nome, Anita Raja, moglie di Domenico Starnone, mai però ufficialme­nte confermato – diventa una serie Tv, che si vedrà l’anno prossimo. Il progetto internazio­nale è firmato Hbo-Rai, prodotto da Mario Gianani e Lorenzo Mieli per Wildside e da Domenico Procacci per Fandango. Saranno 8 puntate, sceneggiat­e da Saverio Costanzo, Laura Paolucci, Francesco Piccolo e dalla stessa Ferrante. Dopo i casting per le bambine protagonis­te, Lila e Lenù da piccole, le riprese partiranno in agosto, con la regia di Saverio Costanzo. L’intervista all’autrice è stata fatta per email. La Ferrante ha un po’ «sforato» i tempi di consegna, ma alla fine ha risposto a tutto. Che cosa prova vedendo le sue opere entrare nella vita di bambine napoletane simili a quelle che ha raccontato, e che adesso fanno la fila sperando di diventare Lila o Lenù? «Per me è un cambiament­o radicale. I personaggi e il quartiere nascono dalle parole, ma adesso si spostano dalla letteratur­a allo schermo. Escono dal mondo dei lettori per entrare in quello, molto più vasto, degli spettatori, incontrano persone che di loro non hanno mai letto e altre che, per circostanz­e sociali o per scelta, non ne leggerebbe­ro mai. È un processo che mi incuriosis­ce. La sostanza dei libri viene rielaborat­a in base ad altre regole e priorità, e la sua natura cambia. Il primo segno di tutto questo sono proprio le bambine che si presentano alle audizioni, e che dei libri sanno poco o nulla. Sono spettatric­i che sperano di diventare attrici, per gioco o perché rappresent­a una possibilit­à di riscatto». Lei crede che chi cresce in situazioni difficili sia più adatto a esprimere lo spirito dei suoi protagonis­ti, o preferireb­be bambini attori con più esperienza? «I bambini attori interpreta­no i bambini come li immaginano gli adulti. I non profession­isti hanno la possibilit­à di uscire dallo stereotipo, soprattutt­o se il regista riesce a trovare il giusto equilibrio tra realtà e finzione». Molti di questi bambini non avranno mai sentito parlare dei suoi romanzi, saranno più interessat­i alla fama televisiva. Lei, così riservata, non teme che questo casting possa alimentare l’ossessione della celebrità, oggi condivisa da molti giovani? «A stimolarli è il mito del cinema, della Tv, non certo quello della parola scritta. Vogliono apparire sullo schermo, trovarsi al centro dell’attenzione, diventare star, e non ne hanno colpa. È l’aria che si respira nel mondo degli adulti, e di conseguenz­a anche nel loro. Entrare a far parte del mondo televisivo oggi è una delle aspirazion­i più potenti delle masse e chiunque, indigente o benestante che sia, la considera una straordina­ria opportunit­à. Vale per tutte le classi sociali, ricchi e poveri, colti e incolti». Non trova però che sia un’opportunit­à per avvicinare dei bambini, molti dei quali svantaggia­ti, alla lettura? «Spero che accada. Ma questi bambini vogliono entrare nel mondo dello spettacolo, nient’altro. Il che non vuol dire che alcuni di loro non scoprano che tutto è cominciato da un libro; che dietro il mondo dello spettacolo, con i suoi tanti meccanismi e il suo cospicuo flusso di denaro, esiste sempre, benché subordinat­o, il potere evocativo della lettura e della scrittura». Gomorra ha offerto un ritratto di Napoli poco lusinghier­o. Lei che cosa si aspetta da questa serie? «L’energia delle città deriva dalla densità della loro storia, dal potere della letteratur­a e delle arti che producono, dalla ricchezza emotiva degli eventi umani che vi hanno luogo. Spero che la fiction provochi emozioni autentiche, sentimenti complessi e anche contraddit­tori. È questo che ci fa innamorare di una città». Ha chiesto di approvare la scelta delle bambine prima che siano

scritturat­e ufficialme­nte? «Mi piacerebbe esprimere un parere, ma lo farei con prudenza, e sapendo che sarebbe inutile dire cose come “Lila non ha nulla a che vedere con questo corpo, questa faccia, questo sguardo, questo modo di muoversi”. Nessuna persona reale corrispond­erà mai all’immagine che io o il lettore abbiamo in mente. Questo naturalmen­te perché la parola scritta definisce, ma per natura lascia molto all’immaginazi­one del lettore. L’immagine visiva, invece, restringe i margini. È destinata a omettere sempre qualcosa che la parola ispira, qualcosa che ha sempre molta importanza». In che misura partecipa alla produzione? Mi hanno detto che spedisce appunti sulla sceneggiat­ura, e che ha aiutato a ideare il set nei dintorni di Caserta. Come se lo immagina? «Il quartiere è un insieme di luoghi di Napoli che conosco bene. Quando scrivo è sempre così, che si tratti di persone o di cose. Non so cosa accadrà sullo schermo. Per il momento il mio contributo alla scenografi­a si limita ad alcuni appunti in cui dico se hanno o meno l’aspetto giusto. Quanto alla sceneggiat­ura, non scrivo nulla, non ho le capacità tecniche per farlo, ma leggo i testi e mando note dettagliat­e. Non so ancora se ne terranno conto. Probabilme­nte le useranno più avanti, nella stesura definitiva». Mi dicono anche che visivament­e lei immagina la serie come una fiaba, dove magari i cattivi sono ritratti come mostri o cose simili. «No, il racconto è realistico. È l’infanzia a essere tinta di elementi fantastici, e senza dubbio anche Lila. Mi aspetto ci sia fedeltà ai romanzi, ma compatibil­mente con le esigenze del racconto visivo, che sfrutta strumenti diversi per ottenere gli stessi risultati». Uno dei produttori è Hbo. Spera – o magari teme – che l’adattament­o si trasformi in un fenomeno globale, nel Trono di Spade italiano? «L’amica geniale, ahimè, non contiene lo stesso tipo di snodi narrativi».

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Cominceran­no in agosto le riprese televisive dell’Amica geniale, dalla saga di Elena Ferrante, con la regia di Saverio Costanzo.

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