TOM HOLLAND DIVENTA SUPEREROE
Tuta attillata si lancia dai palazzi e penzola dai grattacieli. A farlo è il mingherlino TOM HOLLAND, il nuovo Spider-Man che sul set si è affidato alle cure di divi trasformati in «chioccia». E anche se a casa mamma prova a fargli lavare i piatti, lui gi
Blue jeans e maglietta chiara, Tom Holland se ne sta seduto su una panchina. Accanto a lui, una bottiglietta d’acqua, gli occhiali da sole e le chiavi della macchina che si è potuto permettere ora che sta per diventare una star. Gioca con il cellulare, in un soleggiato pomeriggio californiano. Si emoziona come si trattasse di un pezzo d’antiquariato quando vede l’iPod nano con cui registrerò l’intervista. «Ehi, questo è stato il mio primo iPod!». Sorride e si presenta come farebbe uno sconosciuto, il tono entusiasta e l’accento marcatamente britannico. 21 anni, orecchie a sventola, nato a Kingston upon Thames: Tom ha l’aspetto del compagno di scuola. A guardarlo, viene da chiedersi come sia possibile che proprio a lui sia stata affidata la parte dell’Uomo Ragno in Spider-Man: Homecoming, che uscirà in Italia il 6 luglio. «Da grandi poteri derivano grandi responsabilità» è uno dei motti ricorrenti nelle strisce del fumetto creato da Stan Lee. Holland lo sa bene. Ne ha avuto un assaggio quando ha indossato la tutina di Spider-Man in Captain America: Civil War, ma ora si fa sul serio. «Dopo mesi di provini, quando mi hanno dato la parte sono passato dal sentirmi il re del mondo ad avvertire tutta la pressione possibile». Lo ha salvato un consiglio dell’insegnante di recitazione: quando ti senti nervoso, trasforma la tua ansia in entusiasmo. «Ecco, ora lo posso dire: sono molto entusiasta per questo ruolo». Le ossa se le è fatte sul palco del Victoria Palace Theater di Londra, dove per anni ha messo in scena la versione teatrale di Billy Elliot. Figlio di una fotografa e di un autore di commedie, Tom è infatti anche un apprezzato ballerino. Pure i suoi tre fratelli – i gemelli Sam e Harry, e il piccolo Paddy – recitano. Paddy è il protagonista di un delizioso corto, diretto da Tom, dal titolo Tweet, visibile su YouTube.
Che cosa dicono i suoi? Sono orgogliosi? «Sono venuti a trovarmi sul set diverse volte, sempre in giornate tranquille. Dicevano che non facevo niente. Invece, negli altri giorni penzolavo da fili, mi arrampicavo su palazzi, volavo fra grattacieli. Una volta sono dovuto saltare da un impianto di aria condizionata alto 7 metri e mezzo, al buio, in mezzo alla città. Non potevo vedere giù perché c’era nebbia. È stato spaventoso, ma per i miei facevo il mestiere più facile del mondo. Così quando tornavo a casa, a Londra, mi facevano lavorare». Che cosa le toccava fare? «Dovevo lavare i piatti e rimettere a posto la stanza. Non ne ho sempre voglia, preferisco guardare le Tv o stare su Internet». A Los Angeles con chi vive? «Con il mio migliore amico: continuiamo a litigare, come quando eravamo bambini». Ci dica della tutina di Spider-Man. «È stato come lavorare nudo davanti a decine di persone. Ci ho messo un po’ ad abituarmi. Il primo giorno è stato il più difficile: non avevo capito come mettere e togliere la tuta, così non sono andato in bagno fino a sera. La tuta non è comoda ma mi è bastato vedere gli occhi di mio fratello piccolo per superare tutte le difficoltà… anche se all’inizio non ci vedevo proprio». In che senso? «Con la prima tuta non vedevo neppure le mie mani, e invece mi chiedevano di saltare da un palazzo e atterrare in un buco». Nel film Peter Parker ha 15 anni, mentre lei ne ha 21. «Come tutti gli Holland, sono meno sviluppato dei miei coetanei, anche se negli ultimi due anni sono maturato parecchio, dal punto di vista umano e professionale. Per certi versi però mi sento ancora un quindicenne». Per metter su muscoli si è allenato molto? «Sì. Ma la cosa più difficile è stata riuscire a mantenere la stabilità quando penzolavo a testa in giù. Il problema è che il sedere pesa più della testa. Però è molto meglio allenarsi per lavoro che farlo per essere figo al mare». Peter Parker le assomiglia? «Certo, come a tanti. A chi non è capitato di sentirsi poco accettati o di non essere ammessi nella squadra della scuola?». È vero che per prepararsi è tornato a scuola, a New York? «Sì, sotto falsa identità. Mi chiamavo Ben Parker!». Si era già dimenticato com’era quando studiava? «Volevo sperimentare gli istituti americani, le scuole a Londra sono molto diverse, s’indossa un’uniforme e a me non era mai capitato di sedere accanto a ragazze, durante le lezioni. A New York invece ho frequentato una scuola del Bronx». È vero che Chris Hemsworth, con cui ha lavorato in Heart of the Sea - Le origini di Moby Dick, l’ha aiutata a ottenere la parte? «Sì. Gli ho mandato una mail per chiedere se poteva darmi una mano e lui mi ha risposto: “Senz’altro. Racconto di come sei sempre in ritardo e non ricordi mai una battuta che sia una”. Grazie Chris!». Come è stato lavorare con Robert Downey Jr. e Michael Keaton? «Durante le riprese mi sono ammalato perché viaggiavo parecchio. Facevo anche due o tre voli da Londra agli States ogni settimana. Robert Downey Jr. si è preso cura di me come una chioccia, mi ha dato le medicine e preparato bevande vitaminiche per farmi guarire: l’ho soprannominato Doctor Downey. Ancora oggi, è una delle persone che chiamo quando mi sento in difficoltà. Keaton invece mi ha dato il consiglio migliore sul set. Mi ha suggerito di non colpire i malviventi sul viso durante le scene di combattimento: un supereroe che solleva una macchina con due dita non deve confrontarsi alla pari con un criminale normale, nella realtà lo ucciderebbe con un colpo». Ha parlato anche con i due attori che hanno interpretato l’Uomo Ragno prima di lei? «Certo, li ho sempre visti come due esempi per me. Ho parlato sia con Tobey Maguire che con Andrew Garfield, è stato utilissimo, un passaggio del testimone che mi è servito a capire meglio il mondo di Spider-Man». In futuro, che personaggio le piacerebbe interpretare? «James Bond. Ho già chiesto al mio agente di informarsi».
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Pagg. 56-57: giacca di denim, Simon Miller. T-shirt, Urban Outfitters.