Piccoli scrigni
Un’essenza profumata, una foto sbiadita, una lettera. In passato erano questi i tesori nascosti nei locket, i medaglioni pensati per contenere oggetti cari. Che ritornano oggi, come simboli di indipendenza
Custodiscono ricordi di ogni genere: i locket piacciono oggi come ieri
Chiudete gli occhi e provate a passare in rassegna i vostri gioielli di famiglia. Non importa che ci siano maxi brillanti o capolavori di ore ceria, concentratevi piuttosto sui pezzi appartenuti a nonne, o per i giovani, bisnonne. Scommettiamo che lì in mezzo ci trovate almeno un medaglione di quelli che si aprono per rivelare un contenuto più o meno segreto e custodito nel tempo? In italiano non c’è una parola speci ca che indichi quel tipo di oggetto, gli inglesi li chiamano locket e sono un evergreen della gioielleria, prepotentemente in voga dalla ne del XVII secolo, preceduti da accessori di prestigio che in qualche modo ne anticipavano le funzioni.
C’è un ritratto di Maria Tudor, la sanguinaria sorellastra di Elisabetta I, dipinto nel 1554 da Hans Eworth. Gli occhi di solito sono puntati su La Peregrina, una delle più famose perle della storia, appuntata al petto e arrivata nel 1969 al collo di Elizabeth Taylor come regalo di Richard Burton. Abbassando lo sguardo al centro della gonna, se ne sta in bella mostra un pomander, contenitore riccamente lavorato per accogliere essenze da portarsi al naso, nel caso (molto frequente all’epoca) di essere investiti da terribili olezzi. Grosso modo nel giro di un secolo dilaga la moda di far realizzare ai mastri ora del tempo delle evoluzioni di quelle scatolette preziose, ciondoli per il collo, ma anche anelli a scatto dove riporre qualcosa di molto caro. Miniature di volti amati, granelli della terra d’origine, lettere segrete, per non parlare della molto poco raccomandabile abitudine di metterci del veleno da usare all’occorrenza. In Occidente il locket ha attraversato la storia a fortune alterne. Giusto per fare un esempio celebre, al British Museum di Londra c’è un pendaglio a forma di cuore con un ciuo appartenuto a Maria Antonietta, fermato da un lucchetto chiuso da una microscopica chiave. Poi a inizio Novecento l’abitudine si perde un po’, si trasforma più che altro in un desiderio di nicchia per gli appassionati, lasciando tutti gli altri a imboscare nei cassetti i ciondoli ereditati al cui interno riposa una storia. Ci volevano forse anni dicili, come quelli che stiamo vivendo, per riportare alla luce questo rapporto così stretto tra memoria e gioielleria. Digerita la costume jewellery degli anni ’50 fatta di bijoux meravigliosi quanto quelli veri, i monili fricchettoni degli anni ’70, le macro gioie in stile Eighties e il minimalismo di riusso dell’epoca successiva, ci ritroviamo oggi di fronte a un profondo ripensamento del modo in cui ci adorniamo. Un anello, un bracciale, un collier li indossiamo più per noi stessi che per gli altri. Ci siamo lasciati alle spalle la voglia di sfoggiare, di ribadire il nostro status in base a quanti carati abbiamo al dito. Andiamo sempre più alla ricerca di pezzi a cui accompagnarci nel tempo, monili il cui valore va al di là del prezzo. I gioielli come amuleti esistono n dalle culture primitive, la dierenza nel 2017 sta nel criterio con cui attribuiamo loro potere. Un anello è prezioso per la storia a cui lo associamo e sentiamo sempre più spesso l’esigenza di concretizzare quella storia racchiudendone almeno un pezzetto. Locket e dintorni diventano quindi strumento privilegiato per proteggere e richiamare le nostre emozioni. Soprattutto si è ampliata la tipologia di quello che ci preme tenere a mente. Il grande amore o il tristissimo lutto sono solo le più classiche delle possibilità. Le donne hanno preso l’abitudine di celebrare da sole piccoli e grandi traguardi, in un’accezione positiva, come prima non si era mai vista in fatto di locket. Una dichiarazione di indipendenza che sta dentro un ciondolo.