Vanity Fair (Italy)

LE GIRAVOLTE

DI ANTIRENZIA­NI E GRILLINI

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Se la sinistra ci ricorda i Monty Python

Il frazionism­o è molto comune nella sinistra, non solo italiana, tant’è che pure il Pcus, il partito comunista sovietico, si pose il problema di come fare per risolverlo. Al X congresso del partito fu persino istituzion­alizzato il divieto di creare correnti. «Le correnti erano una istituzion­e all’interno dei partiti democristi­ani e del partito socialista. Nel Partito comunista c’erano, ma non si dovevano esprimere, in omaggio al centralism­o del partito, che era assoluto, come tutti i partiti comunisti», spiega lo storico ZeŒro CiuŽoletti. Il tema spesso viene aŽrontato nel dibattito interno del Pd. C’è chi le vede come una degenerazi­one, ma intanto ne ha già fondata una o ne fa felicement­e parte, e chi come un arricchime­nto. Al Pd, naturalmen­te, non bastava avere delle correnti, sicché i vari leader della sinistra si sono inventati a inizio anno la scissione, il cui maggior teorico e pratico è stato Massimo D’Alema. C’era anche lui lo scorso ’ne settimana all’assemblea organizzat­a da Libertà e Giustizia al Teatro Brancaccio di Roma. Dopo mille divisioni, l’idea adesso è costruire una sinistra unitaria per le prossime elezioni politiche. Ma la sinistra ha troppi generali e troppi partitini per accettare riuni’cazioni, ognuno ha una sua piccola constituen­cy da difendere e coltivare, e infatti il progetto è già destinato a fallire: la richiesta di unità porta divisione, senti là che paradosso! Tanto per cominciare la «sinistra-sinistra», come la chiama lo storico dell’arte e presidente di Libertà e Giustizia, Tomaso Montanari, che ha già precisato le regole d’ingaggio, non fa accordi con il partito di Matteo Renzi, perché «è di destra». Giuliano Pisa pia, ex sindaco di Milano e leader di Campo progressis­ta, che al Branca cci o non è andato, è me nonetto. Tutt’intorno, nel frattempo, si agitano altre sigle: i demo progressis­ti di Bersani, Possibile di Pippo Ci vati, Sinistra italiana di Nicola Fratoianni. Il discrimine principale sembra essere uno:l’ alleanza c on ilPd. Alla’ ne, insomma, la sinistra sparpaglia­ta in partiti e capetti si divide sull’ an tir enzis mo, tipo MontyPyth on :« Siete del fronte popolare giudeo?». «VaŽanculo! Sia model fronte popolare di Giudea ». Non granché come programma politico. Molte leadership, poco onore.

Se il Movimento ha due pesi e due misure

Quando si avvicina la prova del potere, emergono le profonde contraddiz­ioni del M5S. Alcune le abbiamo già elencate occupandoc­i, nella Corazzata, del primo anno da sindaca di Virginia Raggi e delle recenti amministra­tive (tutto un gran parlare di meritocraz­ia, poi però la selezione della classe dirigente e l’organizzaz­ione sono un colabrodo). Ma c’è dell’altro, e viene da chiedersi se lo stesso M5S sopravvive­rebbe mai a una società costruita a immagine e somiglianz­a dei propri codici di regolament­azione. Le dirette streaming (ve le ricordate? Nel 2013 costarono una ’guraccia a Bersani, che sperava di potersi accordare con i Cinque Stelle per il governo) non vengono più fatte e c’è chi, come Max Bugani, un fotografo di Bologna diventato braccio destro del Casalgrill­o (Grillo + Casaleggio), mette adesso in discussion­e anche la norma cardine del limite dei due mandati. Per non parlare del rapporto con l’informazio­ne. La libertà di stampa vale solo se i giornali si occupano degli altri, come dimostra il caso dell’incontro fra Matteo Salvini e Davide Casaleggio rivelato da Repubblica, smentito dal M5S e confermato dal quotidiano. In risposta all’articolo, il M5S ha chiesto le dimissioni del direttore Mario Calabresi. In vicende analoghe, quando le pubblicazi­oni riguardano politici del Pd, non c’è alcun attacco ai giornali, anzi. Ma la questione più evidente riguarda la legge in discussion­e sullo ius soli, per permettere a chi nasce in Italia di essere italiano. «Basta buonismo», dice il Movimento, rivelando di essere in aperta competizio­ne con la Lega. E meno male che i Cinque Stelle erano quelli francescan­i.

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