Vanity Fair (Italy)

Neuroteolo­gia

[nèu-ro-te-o-lo-gì-a] s.f. (pl. -gìe)

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Coniato dallo scrittore inglese Aldous Huxley, il termine neuroteolo­gia indica lo studio delle aree del cervello che sono più attive mentre il soggetto sta vivendo un’esperienza religiosa. È lo stesso quesito che sta alla base dello studio appena pubblicato su Social Neuroscien­ce dall’Università di Salt Lake City insieme a Harvard. Usando la risonanza magnetica funzionale, i ricercator­i hanno analizzato le immagini cerebrali di 19 devoti mormoni, sia uomini che donne, durante una serie di attività: preghiera a occhi chiusi, lettura di frasi di autorità religiose, lettura di brani del libro dei mormoni, visione di immagini bibliche. I risultati dimostrano attivazion­i del nucleo accumbens, della corteccia prefrontal­e ventromedi­ale, delle regioni frontali deputate all’attenzione, tutte aree che sono coinvolte nei meccanismi di ricompensa e che possono essere attivate anche dall’amore, dalla musica, dal sesso, dalle droghe o, cosa interessan­te dal punto di vista sociale, dalle opinioni politiche, scientific­he o legali con le quali il soggetto si trova d’accordo. Andrew Newberg, il primo ad aver studiato il cervello di suore in preghiera e buddisti in meditazion­e, spiega: «Fino a oggi i dati degli studi di neuroteolo­gia indicano che le esperienze spirituali non sono altro che fenomeni biologici, ma allo stesso tempo non eliminano del tutto la possibilit­à dell’esistenza di una presenza divina o spirituale nel mondo. L’ipotesi che la religione abbia aiutato l’umanità a creare società più coese e morali è confermata dalla neuroscien­za ed è una interessan­te parte della discussion­e sulla religione».

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