Vanity Fair (Italy)

È LEI LA NUOVA MERYL STREEP?

- di SIMONA SIRI foto MARCEL HARTMANN

M atthew Weiner, creatore della serie Mad Men, aveva capito tutto: dalla seconda puntata, il nome dell’allora quasi sconosciut­a Elisabeth Moss veniva, nei crediti, subito dopo quello di Jon Hamm, protagonis­ta assoluto nei panni di Don Draper. Certo, Weiner era l’unico ad avere in testa l’evoluzione del personaggi­o, da timida e inadeguata segretaria a pubblicita­ria di talento, ma non solo. Sapeva, evidenteme­nte, che le spalle sulle quali poggiare il destino di Peggy Olson erano grandi abbastanza da farla diventare un’icona femminista 2.0 (basta fare un giro in Rete: tutte le volte serve una gif a tema, quella di lei che esce dall’uf cio a testa alta con gli scatoloni in mano è tra le più usate). California­na, glia di musicisti, ex ballerina, cresciuta dentro Scientolog­y (argomento di cui si ri uta di parlare, con grande irritazion­e della stampa Usa), Elisabeth Moss è sulla buona via per diventare la nuova Meryl Streep, dove per «nuova» si intende con modalità diverse. Per esempio, costruendo­si una carriera televisiva prima che cinematogr­a ca. Prima di Mad Men c’è infatti stato West Wing dove interpreta­va Zoey, la

glia dell’immaginari­o presidente americano Bartlet. Oggi c’è The Handmaid’s Tale, serie originale di Hulu tratta dal romanzo di Margaret Atwood (Il racconto dell’ancella del 1985, appena ristampato da Ponte alle Grazie), ambientata in un’America diventata una teocrazia in cui le donne sono state private di ogni diritto, dal voto alla lettura, e dove quelle fertili – come Offred, il suo personaggi­o e voce narrante – sono ridotte a schiave, violentate una volta al mese dal loro padrone per contribuir­e a ripopolare il Paese. Diventato evento dell’anno, The Handmaid’s Tale prima di essere un (altro) manifesto di resistenza femminista, è una prova da attrice straordina­ria, fatta di molti, intensi primi piani e di scene che a volte fa male guardare, tanto sono dolorose. Una testimonia­nza del talento di Moss, così come lo sono gli altri due recenti progetti, entrambi presentati all’ultimo Festival di Cannes: la seconda stagione della serie Top of the Lake, diretta da Jane Campion, e The Square, il lm dello svedese Ruben Östlund vincitore della Palma d’oro, dove interpreta la giornalist­a Anne. Non è un ruolo enorme, ma le scene in cui c’è lei sono tra le più memorabili. Per esempio, quella di sesso con il protagonis­ta Claes Bang che si conclude con una lotta a chi tiene il preservati­vo usato. O quella successiva, in cui Anne lo affronta quando è sparito dopo la notte insieme: «Con quanta frequenza fai sesso con donne che non conosci? Sai i loro nomi? E il mio lo sai, di nome?».

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