Vanity Fair (Italy)

Sotto un cielo di stelle

Il poeta vietnamita OCEAN VUONG arriva a Milano. E parla di sesso

- di LAURA PEZZINO

Lo hanno chiamato Ocean, come l’acqua che si stende tra dove è nato nel 1988, Ho Chi Minh City in Vietnam, e dove è cresciuto, Hartford, in Connecticu­t. Ocean Vuong, ƒglio di una famiglia di sette persone in un’unica stanza, è stato allevato tra donne nel negozio di manicure della madre, dove rispondeva al telefono e guardava Oprah in Tv. Il padre se ne è andato, dopo essere ƒnito in prigione per avere pestato la moglie. I suoi erano illetterat­i. Lui ha imparato a leggere a 11 anni, ha studiato, si è trasferito a Brooklyn, ha incontrato Ben Lerner e ha capito che la sua strada poteva chiamarsi poesia. E in e etti: i suoi versi sono apparsi sulle riviste più importanti e hanno vinto premi, e il 6 luglio escono per La nave di Teseo in Cielo notturno con fori d’uscita (trad. D. Abeni e M. Egan), mentre lui è atteso dal 4 luglio alla Milanesian­a, e i fori di uscita del titolo sono le stelle. Le liriche di Vuong, versi liberi a formare disegni sulla pagina, tengono insieme cose alte e bassissime. Il desiderio («uno sciame di voglia che porti come un velo da sposa»), la guerra («quando ce ne siamo andati, le braci della città fumavano ancora»), il padre («è tuo padre soltanto ƒnché uno di voi non se ne dimentica») e, ovunque, il corpo («è una lama che più tagli più si a¤la», «è stato creato morbido per preservarc­i dalla solitudine»). C’è il sesso, che abita tutto, immortalat­o in una Ode alla masturbazi­one. Ci sono l’omicidio di JFK visto da Jackie («sei sparso su tutto il sedile adesso, scurisci il mio abito fucsia») e l’11 settembre riflesso in un quadro di Rothko («viviamo come l’acqua: bagnando una lingua nuova senza sapere quello che abbiamo passato»). Con la poesia Un giorno amerò Ocean Vuong prova a darsi il coraggio («Ocean, non avere paura» e «ricorda, la solitudine è comunque tempo trascorso insieme al mondo»). La sua è una voce che ci arriva da un altrove che è molto simile al qui. Il New Yorker ha scritto: «Vuole “aggiustare” la lingua inglese». Di certo, la sta trasforman­do. Non è l’unico: come lui molti autori migranti e immigrati, coi cuori più grandi e spezzati dei nostri, che è importante leggere. Una su tutti la ƒlippina Mia Alvar, il cui splendido Famiglie ombra è uscito per l’editore Racconti. Sono tutti tesori precari, ma a Ocean va bene: «Mi piace non stare al sicuro. È allora che le cose più imprevedib­ili possono accadere».

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