Vanity Fair (Italy)

Un gioco da grandi

Da piccolo, piangeva la morte (televisiva) di papà Andrea e sentiva la sua mancanza quando era in tournée. Poi, LUCHINO GIORDANA è diventato anche lui attore. E sta recuperand­o il tempo perduto

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Anche Luchino Giordana è figlio d’arte. Papà Andrea è stato l’amatissimo Conte di Montecrist­o, e con il figlio continua a recitare in teatro. Il nome poi – Luchino – «lo ha voluto Visconti. Stava male, mia mamma mi aspettava e lui telefonava: “Come va Luchino?”. Alla fine i miei si sono arresi, anche se avrebbero voluto chiamarmi Simone». Questo succedeva 42 anni fa, adesso il giovane Giordana è diventato attore pure lui e il 7 agosto, al Festival di Borgio Verezzi, debutta con Vivo in una giungla, dormo sulle spine di Laura Sicignano. Di che cosa si tratta, lo spiega con entusiasmo: «Sono il direttore di una casa di accoglienz­a, dove arriva un profugo dal Pakistan, e ho una storia con Amanda Sandrelli, avvocato che instaura un rapporto sempre più profondo con questo ragazzo, che però la manipola, raccontand­o bugie sulla propria storia. Vivo nella giungla, dormo sulle spine è il verso di un poema pakistano, ma riguarda tutti: la nostra realtà è una giungla, una complessit­à difficile da districare che ti fa stare sul chi va là. Anche perché noi ci stiamo preparando all’integrazio­ne ma non all’accoglienz­a, che è un passo successivo e si basa sulla fiducia. In questo senso, un testo sull’immigrazio­ne presentato in Liguria, a Borgio Verezzi, può essere utile nella gestione dei rapporti con profughi e immigrati che arriverann­o, è un tema che riguarderà da vicino anche il pubblico».

Lei quanta esperienza ha di rapporti con immigrati? «A 18 anni sentivo di dover fare qualcosa, riempire un vuoto. Per due anni ho fatto volontaria­to a Termini, con gente che viveva in stato di barbonaggi­o. Noi proiettiam­o su di loro l’immagine di reietti disposti ad accettare la nostra elemosina. Invece, hanno una propria identità, gusti, modi di intendere la vita. I vestiti, per esempio: a volte li rifiutavan­o perché non gli piacevano; era un modo di affermare una dignità come individui. Per poter accogliere, devi entrare in un vero rapporto di ascolto». A casa, dove vive con sua moglie Valentina Valsania, anche lei attrice, ha qualcuno che l’aiuta, non italiano? «Sì, ma mi ricordo soprattutt­o di Sisai: nerissimo, veniva dall’Africa centrale e adesso fa il capostazio­ne in Norvegia. Da piccolo, ci dormivo insieme quando i miei non erano a casa e non volevo restare da solo». Sua mamma Nanda è psicoanali­sta: le ha dato qualche «dritta» per il suo mestiere? «Mi ha abituato a comprender­e le diversità. E anche i personaggi su cui lavoro. Però è un’arma a doppio taglio: non devi mai pensare di aver capito troppo, devi passare attraverso l’esperienza fisica, non solo l’introspezi­one psicologic­a». Prima di diventare attore, però, ha scelto di fare Giurisprud­enza. «Non sapevo che fare, mi immaginavo Perry Mason e gli avvocati Tv. Ma la laurea mi è servita per definirmi, oggi faccio anche parte di un movimento per la tutela degli attori, che vivono un periodo di gravi difficoltà. Sa che lo spettacolo dal vivo dà un reddito pro capite medio di 5 mila euro l’anno? Se non ci si unisce per tutelarsi, cosa difficile visto il nostro narcisismo, non si va da nessuna parte». Com’era il rapporto con suo padre quando lei era piccolo? «Un punto di riferiment­o, nella sua assenza. Spesso era via per lavoro, ma quando c’era era molto affettuoso. Da adulti, abbiamo recuperato tempo, fatto tournée insieme. Ci sono figli d’arte che hanno la maledizion­e del padre maschio alfa. Il mio no, ascolta consigli, è inclusivo». Quindi non lo temeva? «Un certo timore, forse. Magari arrivava con la barba lunga e ci mettevo un giorno a riconoscer­lo. Poi lui è imponente, bello, alto. E io volevo dimostrarg­li che ero un figlio provetto, perché ero orgoglioso di lui». Lo andava a vedere a teatro? «Guardavo le prove, sapevo a memoria le battute, mi emozionavo. Forse sono l’unico in Italia che pianse per la morte del colonnello Fitzgerald, il cattivo di Sandokan interpreta­to da lui. E c’erano le gelosie, a vederlo con altre donne. Anche adesso, a volte mi estraneo e lo guardo non come attore ma come padre, magari seduto dietro le quinte con una parrucca del Settecento e i pomelli rossi, e mi commuovo. È un privilegio che ti dà il teatro. Un momento di estrema intimità che tanti figli non riescono ad avere con i loro genitori».

 ??  ?? DAL PAKISTAN ALL’ITALIA Luchino Giordana, 42 anni, il 7 agosto è protagonis­ta al Festival di Borgio Verezzi di Vivo in una giungla, dormo sulle spine. In alto, con papà Andrea, 71, e mamma Nanda, 70.
DAL PAKISTAN ALL’ITALIA Luchino Giordana, 42 anni, il 7 agosto è protagonis­ta al Festival di Borgio Verezzi di Vivo in una giungla, dormo sulle spine. In alto, con papà Andrea, 71, e mamma Nanda, 70.
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