MATRIMONIALI
Nella Casa Bianca di Trump, dove i consiglieri devono sottostare regolarmente a umiliazioni rituali, Jared e Ivanka sono riusciti subito a sottrarsi alla mischia. Sono diventati un duo temuto, sia per lo status di favoriti dall’uomo che i funzionari chiamano «principale» sia per la loro tendenza vendicativa. Ivanka, come il padre, fa adamento su nome e immagine. Jared, meno a suo agio sotto i riettori, ha una scuderia di consiglieri e membri dello sta che gli riferiscono tutto quello che succede, come fosse lo zar del suo governo ombra che porta il nome di Ucio per l’Innovazione Americana della Casa Bianca. È evidente però che, dopo una fase iniziale di stupore per il potere assoluto dei loro incarichi, sono rimasti feriti dal vetriolo con cui sono stati attaccati. Ma, come Ivanka dice sempre alla glia di sei anni, Arabella: «Per ogni problema c’è una soluzione». Per entrambi la soluzione è stata passare al contrattacco: contro gli amici di New York che li disapprovano, contro gli avversari interni, contro lo stesso presidente. A Washington, intanto, circola sempre di più la voce che Jared e Ivanka non dureranno, non perché rischiano di essere mandati via, ma perché si metteranno in salvo da una presidenza in rovina. Un esperto di strategia politica di New York mi ha raccontato che hanno in mente di andarsene nel 2018, alla ne dell’anno scolastico. Una persona vicina alla coppia crede che i loro progetti non si spingano così in là. «Quando decideranno che è più importante proteggere le loro reputazioni e quelle dei gli che difendere quella indifendibile del padre, sarà un segnale che la ne è vicina», sostiene un inuente nanziatore repubblicano.
Quando potrebbe arrivare quel momento? Ogni messa in scena di una qualche influenza sulla Casa Bianca è volata giù dalla nestra nell’attimo stesso in cui Trump ha detto che la violenza a Charlottesville era arrivata «da più parti». Lo ha fatto il 13 agosto, di domenica, Kushner e Ivanka stavano osservando lo Shabbat ebraico. Al risveglio, domenica di prima mattina, Ivanka ha twittato: «Non dovrebbe esserci posto nella società per razzismo, supremazia bianca e neonazisti». Kushner è rimasto zitto, nonostante molti manifestanti del movimento Unite the Right abbiano ripetuto a Charlottesville slogan come «gli ebrei non ci rimpiazzeranno». Il martedì Donald ha rincarato la dose. Ivanka non ha avuto altro da dire in pubblico, nemmeno dopo che su Vice News un nazionalista bianco ha criticato il presidente per avere «dato sua figlia a un ebreo». Il modo in cui la glia di Trump sintetizza la sua posizione è risaputo: «Non sono stata io a chiederlo». Lo ha ripetuto in Tv e parlando con gli amici, come se non si fosse prestata a fare da rimpiazzo al padre per tutta la campagna elettorale e il marito non fosse stato così coinvolto nel gestirla. Non solo, con il marito aveva preso con entusiasmo il ruolo di intermediaria tra la presidenza e i circoli elitari di Manhattan, rimasti sconcertati dal risultato delle elezioni. Alcuni progressisti speravano addirittura che Jared, rampollo di un’importante famiglia di democratici, avrebbe aiutato «il pivot» sfuggente a ristabilire un equilibrio. Nel periodo di transizione, Ivanka ha visto Al Gore e Leonardo DiCaprio per discutere dei cambiamenti climatici. Ha incontrato la regina Rania di Giordania per parlare di diritti delle donne. Ha preso parte a un incontro con il primo ministro giapponese Shinzo Abe, una delle molteplici volte in cui la famiglia Trump ha violato regole e abitudini diplomatiche. In quelle settimane si è resa conto che la sua vita precedente – dirigere una sua marca di vestiti e accessori e lavorare con i fratelli per la società immobiliare del padre – era nita per sempre. Si era trasferita a Washington, in una casa da 5,5 milioni di dollari nel quartiere di Kalorama, a pochi isolati da quella degli Obama, per restare accanto al padre e pensava di occuparsi solo di lantropia. Poi ha visto la possibilità di un ruolo più prestigioso.
Un ex collaboratore descrive così la coppia: «È lei ad avere personalità, ad avere una presenza più forte. Jared è un bell’uomo, piuttosto silenzioso, che parla a voce bassa, e con un che di informe nell’aspetto». Dopo il voto, ha raccontato in un’intervista come abbia «sfoltito» lo sta di chi non appoggiava il suo lavoro per il presidente. A un ex collaboratore, che aveva accennato all’orribile retorica della campagna elettorale, avrebbe risposto che non «gliene fregava un c…» se non voleva più lavorare con lui. Quando vivevano a New York, Kushner ricordava sempre a Ivanka: «Siamo dentro uno zoo, cerchiamo comunque di non diventare animali». Un amico sostiene che in realtà lui per primo ha barattato le vecchie frequentazioni con persone
più potenti: «Se ne va in giro con il principe dell’Arabia Saudita e non più con quelli del settore immobiliare». E la coppia cena regolarmente con i membri del gabinetto di Trump. Quando Kushner ha dichiarato di aver contattato Henry Kissinger per chiedergli consigli di politica estera, cercando un po’ di saggezza militare per il suocero, mi è venuto in mente come ha iniziato la sua carriera come editore. Dopo avere comprato il New York Observer per 10 milioni nel 2006, ha chiamato Rupert Murdoch, lo ha invitato a cena e gli ha detto di volere imparare da lui: «Da grande voglio essere come te». «Rupert ha apprezzato», racconta un suo ex collaboratore. L’apparente deferenza di Jared, una caratteristica appresa presto quando poco più che ventenne è stato costretto a prendere il posto del padre nella società immobiliare di famiglia, gli è stata sempre utilissima. Tra i suoi maggiori successi c’è stato proprio l’avere contribuito a garantire l’appoggio elettorale del network televisivo Fox News, di Murdoch. All’inizio «Rupert odiava Trump», dice sempre il suo ex collaboratore. «Lo trovava fasullo». Jared se lo è lavorato.
Quando Ivanka è arrivata a Washington, ha intrapreso un «tour per ascoltare la gente». I congedi parentali retribuiti sono stati uno dei punti fermi della «sua» campagna. Una proposta in questo senso è nei progetti dell’amministrazione: il Wall Street Journal l’ha ribattezzata «The Ivanka Entitlement», il «Diritto Ivanka». Ma le altre sue posizioni sono spesso in disaccordo con la politica del padre e gli sforzi di colmare la distanza restano senza successo. Lei magari vorrebbe convivere con queste contraddizioni, la politica americana non è altrettanto accomodante. Quando si è schierata contro il ritiro dagli accordi sul clima di Parigi, Trump ha deciso lo stesso l’uscita degli Stati Uniti. Quando poi Ivanka ha provato a prendere distanza dai suoi sforzi precedenti, il voltafaccia l’ha danneggiata enormemente come credibilità soprattutto con padroni e guru della Silicon Valley, schierati in difesa dell’ambiente. Ai loro occhi l’episodio ha dimostrato la sua scarsa inuenza e anche la riluttanza a battersi seriamente per una causa. Un funzionario di alto livello della Casa Bianca la difende: «Tenuto conto delle promesse fatte in campagna elettorale dal presidente, sono aspettative poco realistiche. Tutto quello che può fare è ricevere gente per perorare le loro cause, ed è esattamente quello che fa».
La cosa sgradevole di quei due è che non si rendono conto di essere sostanzialmente irrilevanti», dice un esperto di politica di Washington, «eppure si credono speciali». Chi è coinvolto nei loro progetti gode comunque di una protezione. «Se sei legato a loro, diventi intoccabile», racconta un ex consigliere di Trump. Se è dicile capirne la linea politica, Kushner poi sembra eccellere nel dichiarare guerra ad alcuni colleghi che ritiene possano nuocere al suocero. Ivanka sa essere fredda con i membri dello sta, in particolare con quelli che non stanno dalla parte del presidente. Racconta un ex funzionario: «All’inizio cerca di sedurti, poi arrivano le sue frecciatine davanti al padre». Jared una volta si è descritto come «primo tra i pari» alla Casa Bianca. Ci si domanda se con il tempo non abbia avuto la tentazione di lasciar cadere la seconda parte della denizione. «Trump dipende aettivamente dal genero e dalla glia… ma loro non possono aiutarlo in nessun modo»,
È LEI AD AVERE PERSONALITÀ, AD AVERE UNA PRESENZA PIÙ FORTE. JARED È UN BELL’UOMO, SILENZIOSO, PARLA SEMPRE A VOCE BASSA —Un ex collaboratore di Ivanka e Jared Kushner
conclude l’esperto di politica della capitale americana. «L’unica cosa che possono fare è farlo sentire più a suo agio con la nuova vita». Quando Ivanka ha dichiarato solennemente in un’intervista che sta provando «a tenersi fuori dalla politica», è stata derisa senza pietà su Twitter e durante le trasmissioni Tv. Ospite del Late Night with Seth Meyers della Nbc, l’attrice e comica Maya Rudolph ha inscenato una gag particolarmente riuscita sulla sua frase: «È chiaro, è chiaro. Fai la consigliera del presidente, ma non ti occupi di politica». Insistendo poi sul fatto che l’ha pronunciata parlando tra i denti come se stesse confessando «un segreto sexy». Quello che forse Ivanka stava cercando di dire era che era andata a Washington con la speranza di lavorare su progetti dettati dal buonsenso a cui democratici, repubblicani e indipendenti avrebbero potuto collaborare. È quel genere di ingenuità artefatta a cui sempre meno gente crede a Washington. John Kelly, il nuovo capo dello sta, ha provato anche a chiedere che i due lo avvisassero prima di piombare nello Studio Ovale. Niente da fare. Le apparizioni di Ivanka durante le interviste tenute da Trump alla Casa Bianca sono diventate quasi d’obbligo. Come quando si è presentata nel mezzo di un’intervista del Wall Street Journal e ha parlato con il giornalista della testata, Gerard Baker, di una festa d’estate a cui avevano partecipato entrambi e del fatto che avevano tutti e due una glia che si chiama Arabella.
Forse il fatidico momento in cui Kushner e Ivanka, lasciando Washington, avrebbero potuto salvare le proprie reputazioni è già passato. Di sicuro lo è per quella società in cui hanno passato gran parte delle loro giovani vite, ovvero i quartieri della mondanità dell’Upper East Side per Ivanka e l’alta società del New Jersey per Kushner. Cercano di salvare il salvabile. Sembra sempre che si eclissino nell’attimo esatto in cui una catastrofe politica si abbatte sulla Casa Bianca (un funzionario mi ha fatto notare che non è che partono quando le cose si mettono male, è solo che le cose sono sempre messe male). Vanno a sciare, come nei giorni che hanno preceduto la prima mancata votazione per la riforma sanitaria; o osservano lo Shabbat, come durante i fatti di Charlottesville o le proteste di massa per il primo divieto di viaggio per i musulmani; durante la lunga débâcle parlamentare sempre sulla riforma sanitaria, hanno fatto una gita a sorpresa alla conferenza della Allen & Co., la riunione annuale dei miliardari dell’informazione e della tecnologia e dei loro assistenti. A ogni ciclo elettorale, la conferenza organizza una nta elezione e l’anno scorso Hillary Clinton ha vinto con un margine enorme, «una cosa tipo 80 contro 20», da quel che ricorda uno dei presenti. Non c’è stata esattamente una folla ad accogliere Kushner e Ivanka, che sono arrivati in abiti casual, ma appena un po’ più appariscenti di tutti gli altri. Chi c’era ha raccontato che «tutti dicevano: “Sono delle persone orribili”, e roba del genere, ma ovviamente, appena si sono presentati, è iniziata la trala di nti baci sulle guance». A Washington circa il 90 per cento dei residenti ha votato per Hillary Clinton. Anche qui la situazione era complessa in partenza. Alcuni genitori dell’esclusiva e politicamente progressista Jewish Primary Day School, a cui è stata iscritta Arabella, si dicono «tormentati» su come camuare il disprezzo per il nonno mentre accolgono una bambina di sei anni senza colpa. La coppia frequenta una piccola sinagoga ortodossa, la Shul, vicino Dupont Circle, raggiungibile a piedi da casa loro. Ivanka si era convertita all’ebraismo ortodosso prima del matrimonio con Kushner, e, a meno che non ricevano una dispensa speciale da un rabbino, entrambi non possono guidare né usare il cellulare durante il sabato ebraico. Hanno bisogno di un sacco di dispense, inclusa quella ottenuta quando, sempre di sabato, hanno preso un aereo per l’Arabia Saudita per il primo viaggio internazionale del presidente.
La politica è una novità per Jared e Ivanka, ma non è solo nella politica che si stanno muovendo. Sono in una città nuova che «ferisce la loro autostima ogni giorno», mi ha detto uno dei loro amici di New York. Sanno di non poter più riavere la vita com’era prima che Donald Trump iniziasse la campagna elettorale né vogliono rinunciare al potere. Ivanka potrà essere ipocrita quando dice che «non l’ha chiesto lei», ma ha ragione nel dire che non è «questo» che ha chiesto, cioè la situazione in cui lei e il marito si ritrovano: potenti, per certi versi, e però ine«cienti; aettivamente essenziali per Donald Trump, ma privi delle qualità necessarie per aiutarlo; impossibili da licenziare e riluttanti ad andare via; compromessi eticamente e forse anche legalmente; costretti a fare i conti con una reputazione, e forse anche una famiglia, ormai seriamente danneggiate, indipendentemente da quello che decideranno di fare. A inizio estate sono andati un ne settimana a New York a trovare degli amici, tra cui Wendi Murdoch. Del viaggio erano riusciti a non fare trapelare nulla sui giornali: questi momenti sono rari. «Sono al centro del campo di battaglia», mi ha detto un loro amico di New York. «Tornare indietro farebbe più danni che restare in campo». Qualunque sarà il danno, in parte è a loro stessi che devono dare la colpa.