Teniamoci in contatto
Nel mondo colorato del fotografo GUIDO TARONI, ciò che conta sono le persone e le loro storie. Uno sguardo attento che trasforma la bellezza in emozione
Non parliamo della sua eleganza, è già iconica. Parliamo invece del contatto: «La prima parola nella vita, anzi quella che fa stare in vita». Guido Taroni lo cerca anche tra tappeti e maniglie, come nel nuovo libro sull’architetto Renzo Mongiardino, The Interiors and Architecture of Renzo Mongiardino: A Painterly Vision, realizzato in collaborazione con Cabana Magazine e Martina Mondadori Sartogo (Rizzoli International, $ 75). È un Mongiardino a luci spente, intimista e inaspettato, quello raccontato dalle pose lunghe del suo obiettivo, che ha girato tra le stanze rmate dall’architetto e ancora abitate, in Italia e in Francia, per cogliere «L’emozione del vissuto». La sua ricerca di un mondo visto da vicino, che sia un abito, un gioiello o scenari d’interni, è spesso a tinte forti. Sono ultra colorati i gioielli di Giampiero Bodino, raccontati nella mostra itinerante Beauty Is My Favourite Colour, in apertura l’11 ottobre alla Spencer House di Londra. Ma soprattutto, Taroni ruota intorno ai particolari, promossi a protagonisti: «Cerco di creare storie con un’atmosfera, eterea o satura, raccontata da dettagli inaspettati». Era colorata l’infanzia di Taroni, satura di stimoli come la villa sul lago di Como in cui è cresciuto: «Circondato da tessuti, carpe, quadri, giardini, pareti che cambiavano tinta, i coleotteri collezionati dal papà, la cosa più colorata che la mia mente ricordi». Oggi Taroni a tinte forti tinge alcuni pezzi del suo celebre armadio, compreso di capi anni Venti, è un arcobaleno il guidotaroni photographer di Instagram, sono cromatici i suoi scatti: «In armonia o a contrasto, il colore è come una modella che sa muoversi davanti all’obiettivo». Fotografo d’interni, di moda, di gioielli, apprezzato ritrattista. Guido preferisce? «Cambiare». Resta ferma la ricerca dell’emozione, leggermente nostalgica come il suo vissuto, lacustre e aristocratico: «Mi hanno inuenzato le nuvole basse, un certo gusto per la malinconia». Più ancora delle nuvole, hanno fatto le facce. I tanti volti puntati su di lui mentre gustava grissino-conprosciutto del salumaio Moscatelli o panna-e-meringa della cremeria Bolla, posti del cuore e delle merende proibite che raggiungeva nelle fughe in bicicletta: «Ricordo il rosso delle aettatrici e la magia dei volti, fermi su di me eppure in movimento». Seguiamo i suoi occhi di bambino anche nella Casa del Biscotto, roteanti su packaging e caramelle, orecchie tese tra gli scricchiolii del parquet, rialzato dal tempo. Non fermiamoci qui. Nella genesi di un futuro ritrattista contano anche i «mercatini» degli oggetti abbandonati in casa, da lui raccolti in una scatola e venduti attraverso le griglie del cancello. Sono seguite le vendite di merendine a scuola, poi delle cartoline alla funicolare, commerci mirati più al contatto che al guadagno, un accumulare incontri e non monete: «Cercavo lo scambio. Conoscere persone, ascoltare storie. Negli occhi dei vecchi c’era già tutto, un brivido che sospendeva il tempo». Una passione per gli anziani: «La scuola ci portava nella casa di riposo, ci stavo tanto e tanto volentieri». Che sia il dialogo con un dettaglio o con lo sguardo altrui, il contatto è l’istante che fa la dierenza: «In un ritratto devi cogliere un’espressione, un momento sospeso e mai scomodo, da guardare dritto negli occhi». Un senso atemporale della bellezza, con cui far rivivere gli oggetti o fermare il movimento di un volto. Come quelle facce che ssavano il prosciutto avvolto sul grissino, tra le mani di Guido bambino.