Vanity Fair (Italy)

E ORA VORREI NUOTARE

Un anno fa era in Siria, sotto le bombe, e componeva tweet che hanno commosso il mondo. Oggi, la piccola BANA ALABED scrive un libro. L’abbiamo incontrata per sentire la sua voce (e i suoi desideri)

- Di SIMONA SIRI

Le trecce «che mi fa tutti i giorni mia mamma». La bambola bionda cui ha dato nome Christine, «come la mia editor perché mi ha aiutato a scrivere il libro». Il singhiozzo che la tormenta per tutta la durata dell’intervista e i dettagli del suo primo viaggio negli Stati Uniti, compresa la visita della Statua della Libertà, una indigestio­ne di pizza («ne ho mangiata troppa e ho vomitato per strada») e l’incontro con Colin Kaepernick, lo sportivo americano che per primo si è genuflesso durante l’inno nazionale dando il via alla protesta dei giocatori di colore nei confronti di Donald Trump. Bana Alabed è a New York per presentare Caro mondo, nelle librerie dal 12 ottobre, il libro che la racconta. Sfodera un inglese elementare ma corretto, e le sue parole sono al tempo stesso normali – vengono da una bambina di otto anni – e straordina­rie, se si pensa che fino a dicembre scorso viveva ad Aleppo, nella Siria devastata dalla guerra civile. I bombardame­nti, la mancanza di acqua, la morte dei suoi amichetti, la paura per la propria vita, la distruzion­e: per un anno Bana ha raccontato al mondo, via Twitter, con parole ma anche con foto e video, che cosa significa vivere sotto assedio. «Caro mondo, stiamo morendo», scriveva il 24 ottobre 2016. Due mesi dopo, il 4 dicembre: «Siamo sicuri che l’esercito ci sta catturando. Ci rivedremo un altro giorno caro mondo. Addio». Nato poco più di un anno fa e gestito con la madre Fatemah, l’account @AlabedBana oggi vanta più di 363 mila follower e l’attenzione del mondo – da Barack Obama a J.K. Rowling – a cui le due si sono rivolte spesso con i loro cinguettii. Evacuate da Aleppo il dicembre scorso, oggi vivono in Turchia con il resto della famiglia, e da lì continuano a parlare di Siria. In un messaggio poi cancellato, ad aprile, commentava­no così la notizia dell’attacco militare americano voluto da Trump: «Sono una bambina siriana che ha sofferto sotto Bashar al-Assad e Putin. Ben venga l’attacco di Trump contro gli assassini della mia gente. Putin e Assad hanno bombardato la mia scuola, ucciso i miei amici, mi hanno derubato dell’infanzia. È tempo di punire gli assassini dei bambini siriani».

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