QUELLO CHE GLI UOMINI NON DICONO
Nel suo primo romanzo, il conduttore Tv PIERLUIGI PARDO racconta caduta e risalita di un «mezzo maschio alfa»
Il primo romanzo del più esuberante giornalista e conduttore televisivo sportivo italiano, Pierluigi Pardo di Tiki Taka - Il calcio è il nostro gioco, è uscito per merito di un ladro (è nei ringraziamenti). «Avevo scritto cento pagine, poi mi ero fermato: non sapevo come proseguire», spiega il telecronista. «Una sera hanno sfondato il vetro della mia macchina, sui Navigli, a Milano, e hanno rubato il computer, con dentro il libro. Lì ho capito che ci tenevo davvero, e l’ho finito. Un libro è diverso da tutto ciò che avevo fatto prima: ogni parola è per sempre». E così è uscito Lo stretto necessario (Rizzoli, pagg. 384, € 19): un’accattivante incursione nella mente maschile, nei suoi desideri inalienabili e nelle paure che la fanno indietreggiare. Giulio Bardelli, il protagonista, ha preso da Pardo imponenza, età (43 anni), la passionaccia per il calcio (la trama è scandita dai Mondiali del 2006 in Germania), una bella moglie. E il resto da un certo prototipo maschile, nel cui paradiso c’è posto per birra, amici, partite in Tv, Springsteen, figli, consorte e altre donne, le ultime in virtù di uno spiccato relativismo etico. Giulio fa il pubblicitario a Milano. Forse sua moglie è innamorata di un altro. Forse lui ha messo incinta una delle migliori amiche di lei. Peggio: sta per iniziare un’amichevole dell’Italia prima dei Mondiali, ma lei ha organizzato una cena per la raccolta fondi a base di finger food. Sarà un amico di Giulio, trascinandolo in un lento, sgangheratissimo tour (rispettando gli orari delle partite) attraverso l’estate italiana, fino a una masseria pugliese da risistemare, a sottrarlo alla crisi famigliare. E a spingerlo verso un necessario bagno di realtà: esaurita l’epoca del cazzeggio, inizia quella dello «stretto necessario» del titolo. Giulio le somiglia? «Il romanzo non è autobiografico ma lui ha una filosofia di vita simile alla mia. Sa stare al mondo: un mezzo maschio alfa romantico e cinico. Ama le donne e ne riconosce la superiorità. Però rivendica l’essere un po’ bambino, un Peter Pan. Pretende i suoi diritti». Tipo? «Se deve pagare tremila euro per un divano e mangiare cibo fusion accettando il politically correct della moglie, su quel divano deve potersi bere anche la birra e guardare la partita. Non ci si deve sentire socialmente inferiori se si ama il calcio: ognuno ha il diritto di vivere ciò che è». Il romanzo scava nel cervello maschile: che cosa si trova? «La semplicità. L’uomo pensa in modo semplice. E l’incoerenza. Vorrebbe non crescere del tutto – vedi il fantacalcio – e tenere una parte per sé. Deve potersi lasciar andare a una scelta rischiosa – il viaggio senza avvisare nessuno di Giulio – solo per provare un’ebbrezza, una turbolenza». In finale l’Italia batte la Francia e Giulio entra in crisi. Capisce, elencandole, che si è «perso in troppe stronzate». C’entra un’altra donna, ma non come ci si aspetta. Che succede? «Giulio migliora nel tempo. La sua sicurezza s’incrina davanti all’irreparabile. Si accorge di aver creato troppe sovrastrutture inutili e sceglie le poche che contano. Il troppo non basta mai. Questa pagina l’ho scritta di getto, sulle note del telefonino. Ero chiuso in bagno a una festa noiosa, quest’estate a Capalbio». Vale anche per lei? «Sì, non è la quantità delle cose a contare. Quelle fondamentali sono tre, quattro, e devono stare in equilibrio tra loro. La felicità non si misura dal successo: potevo continuare a fare i posticipi della B». Scrive: «Attraverso le partite di calcio gli uomini si dicono che si vogliono bene»... «È così, e anche quando si menano». Nel romanzo abbondano le classifiche alla Nick Hornby di Alta fedeltˆ. La sua? «Amici, musica, i viaggi a sud, il mare e le cene. Amo fare il telecronista perché poi si finisce a cena».