Vanity Fair (Italy)

IN TOUR DA SOLA

-

ico parlava moltissimo e raccontava tante storie, continuame­nte. Per esempio diceva di avere incontrato una volta uno scrittore americano in un caffè di Parigi, in Place de la Contrescar­pe, e che questo scrittore le aveva detto: «Ti metterò nel mio prossimo libro». Quello scrittore era Ernest Hemingway. Raccontava anche che il suo nome d’arte, Nico, glielo aveva creato il pittore Salvador Dalí, perché era l’anagramma di icon, icona. Altre volte, invece, affermava che il nome era stato un’invenzione di Coco Chanel, con cui aveva lavorato (vero) e anche avuto una relazione (chissà). Poi, dimentican­dosi di Hemingway, ripeteva la stessa storia («Ero seduta in un caffè di Parigi, in Place de la Contrescar­pe...») ma lo scrittore che le avrebbe detto «Ti metterò nel mio prossimo libro» era diventato, nel frattempo, William Burroughs. Gli amici glielo facevano notare e lei rispondeva, sfacciata, rabbiosa e divertita insieme: «E allora? Me lo ha detto anche Burroughs! Che ne volete sapere voi?!». A volte, invece, raccontava che il nome Nico veniva da Nico Papatakis, padrone di locali parigini, poi produttore cinematogr­afico e marito dell’attrice Anouk Aimée. In passato Papatakis era stato amante di Nico e il fotografo Herbert Tobias le aveva suggerito di prendersi quel nome d’arte. Probabilme­nte, è questa la versione più credibile, mentre chissà se è vero che sul set della Dolce vita Anouk Aimée le avrebbe detto: «Oh, Nico. Come mio marito, che strano», senza sapere che Papatakis e la Nico davanti a lei erano stati insieme. Nata a Colonia, in Germania, Nico si chiamava, in realtà, Christa Päffgen. E raccontava un mucchio di balle anche sulle sue origini e sulla sua famiglia: inventava qualcosa di diverso a ogni intervista, a ogni incontro. Suo padre era un nazista, anzi no era stato ucciso dai nazisti. Suo padre era mezzo turco, era stato addirittur­a un derviscio rotante. E poi ancora altre storie, tra leggenda e realtà: Federico Fellini l’aveva intravista un giorno a casa di Dino De Laurentiis e Silvana Mangano a Roma e le aveva proposto di partecipar­e al film che stava preparando, La dolce vita (possibile, perché poi nel film lei c’è davvero, nel ruolo di se stessa, con Mastroiann­i che la chiama da lontano: «Nicoooo, dove vai?»). Dopo essere stata modella (davvero aveva lavorato per Chanel, anche se poi era finita a fare spot pubblicita­ri per detersivi in Spagna) e attrice (sì, appare in film epocali come, oltre alla Dolce vita di Federico Fellini, Chelsea Girls di Andy Warhol, e anche più tardi in alcune opere di Philippe Garrel, con cui ebbe una lunga relazione), si era dedicata alla musica. Proprio grazie a Warhol era entrata in contatto con il gruppo di Lou Reed e John Cale, i Velvet Undergroun­d. Una canzone, in particolar­e, Femme fatale, la definisce e, in qualche modo, la condanna. Più gli anni passano, più Nico odierà la canzone. Non ha mai smesso però di proiettare quell’immagine, appunto di donna fatale, di cui chiunque si innamorava. Per dire, raccontava che Jeanne Moreau era stata la sua amante (vai a sapere!) e che, con Bob Dylan, ancora sconosciut­o, aveva trascorso settimane in Grecia (vero: lui poi scrisse per lei la canzone I’ll Keep It with Mine). Raccontava anche di avere studiato all’Actors Studio e che, tra le sue compagne di classe, c’era Marilyn Monroe. Non poteva essere vero, gli anni non coincidono, ma Nico era così. Un’invenzione unica. Una disperazio­ne immensa. «Un misto piccante di insicurezz­a e arroganza», come l’ha definita Janet Susan Mary Hoffman più nota come Viva, e collega ai tempi della Factory di Andy Warhol, a cui Nico era arrivata grazie a Brian Jones dei Rolling Stones, suo amante dell’epoca. «Era una catastrofe emotiva ambulante. Mi raccontava storie della Germania in tempo di guerra, non so se fossero vere o false, ma certo quelle esperienze l’avevano distrutta. Si credeva la regina di Saba, ma era una ragazza piena di traumi». Warhol l’aveva eletta come una delle sue Superstar, assieme a Viva, appunto, Edie Sedgwick e altre. Non avevano un ruolo preciso nella Factory, ma erano coccolate da tutti, trattate come esseri superiori. «Nonostante le droghe che prendevamo, ci sentivamo immortali», mi disse anni fa Holly Woodlawn, il travestito che ispirò la canzone di Lou Reed Walk on the Wild Side. Da una notte d’amore con Alain Delon, Nico rimase incinta. Si erano conosciuti in Europa sul set del film Delitto in pieno sole e, tempo dopo a New York, lei aveva letto su un giornale che l’attore francese soggiornav­a all’Hotel Saint Regis. Gli telefonò e le mani le tremavano, non si sa se per le droghe o per l’emozione. Christian Aaron, unico figlio di Nico, nasce a Parigi l’11 agosto 1962. Alain Delon non lo riconosce. Inizialmen­te Nico lo porta con sé a New York. Gira per la Factory di Warhol, unico bambino presente. Era rabbioso, infelice, piangeva e urlava di continuo. A un certo punto Nico non ce la fa più e lo consegna a Edith, la madre

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy