ZOE SALDANA INNAMORATA DELL’ITALIA
Stella dei film fantascientifici e dei blockbuster made in Usa, ZOE SALDANA ama restare con i piedi per terra: «Sono consapevole che l’impatto del mio lavoro sul mondo è minimo». Con un marito artista e un ultimo lavoro, un breve poliziesco «alcolico» girato a Milano da Sollima, l’attrice di Avatar racconta qui il suo amore per la Penisola
NNei Guardiani della Galassia è tutta verde, in Avatar – di cui sta girando i primi due di quattro sequel – è tutta blu. Di persona Zoe Saldana ha la pelle di velluto color cacao, segno delle origini (dominicane e portoricane, anche se è nata negli Stati Uniti), la classe di una star, il senso della realtà della madre di tre figli (di cui due gemelli), il calore latino raddoppiato dalla vicinanza con l’Italia perché suo marito, l’artista Marco Perego, è italiano. Ed è un po’ grazie a lui che ci incontriamo sul set di The Legend of Red Hand, cortometraggio che fa parte della campagna Campari The Red Diaries, diretto dal regista di Suburra Stefano Sollima. «Anche se viviamo a Los Angeles, Marco segue con grande attenzione quello che succede in Italia e ho visto i lavori di Stefano perché me li ha segnalati lui», spiega. Dice di capire abbastanza bene l’italiano, ormai, ma di sentirsi poco sicura nel parlare. Conosce le parolacce (e me ne fa un colorito esempio), la sua parola preferita è «cuore, perché ha un suono bellissimo». Ma questa dichiarazione zuccherosa non tragga in inganno. Zoe è una forza. E non solo perché interpreta spesso eroine armate nei film (il prossimo, The Avengers: Infinity War, esce il 25 aprile). Leggete qui. Anni fa, lei disse che Hollywood era un ambiente così elitario e snob che aveva pensato di lasciare tutto. Sono migliorati loro o si è adattata lei? «Ebbi un’esperienza molto negativa durante la lavorazione dei Pirati dei Caraibi. Ma nello stesso anno girai con grande gioia The Terminal di Steven Spielberg. Nel giro di poco tempo, ho avuto l’opportunità di capire che non tutti i set sono uguali, che il cinema, al suo meglio, può essere un lavoro collettivo, pieno di creatività e collaborazione. Da allora, ho inseguito sempre questa prospettiva, ho capito che avere più controllo sulla mia carriera dipendeva da me e soltanto da me. Detesto il vittimismo e ho imparato a dire no. Penso che certi no siano l’arma migliore a nostra disposizione». Il successo aiuta ad avere la sensazione di controllo? «Sì e no. Sono consapevole del tempo in cui vivo, del mestiere che faccio e della popolarità che portano certi film, ma so bene che il mio impatto sul mondo è minimo». Guardiani della Galassia, Avatar, Star Trek. Lei è la regina della fantascienza. Che cosa risponde a chi critica l’inarrestabile produzione di sequel e franchise tratti da fumetti? «Lo rispetto. Se non ascoltiamo quello che dice il pubblico, siamo fritti: noi dipendiamo dal pubblico. Però, mi permetto di dire che ci sono anche tanti registi innovatori che stanno cercando di modificare le regole e i cliché del genere. I personaggi dei Guardiani della Galassia sono poco eroici, umanizzati, goffi e neanche tanto furbi. Realistici in uno scenario che realistico non è. Detto questo, è arrivato il momento di andare oltre». Per esempio? «Non vedo l’ora di avere sullo schermo un Superman asiatico, un James Bond nero, altre Wonder Woman. Il cinema si deve sganciare dal modello di civiltà eurocentrico che ha sempre ritratto. Il pubblico oggi è formato dai millennial, in gran parte figli di famiglie miste, di differente cultura, religione, nazionalità. Ci sono i figli di coppie dello stesso sesso. È arrivato il momento per
i media e per le arti di raccontarli, rappresentarli, ispirarli». Lei ha fondato una casa di produzione con le sue sorelle Cisely e Mariel, lanciato un canale YouTube e anche una piattaforma digitale rivolta appunto ai millennial, soprattutto latini. Perché? «Perché nel 2060 i latini saranno il 30 per cento della popolazione degli Stati Uniti. Oggi rappresentano il 18 per cento. Ma le storie che li riguardano nei media e la loro immagine in serie televisive e fiction sono quasi sempre negative. Se non ci pensiamo noi a cambiare le cose, chi vuole che ci pensi? Lo stesso dicasi per il ruolo delle donne nel mondo del lavoro. Più facciamo sistema e più creiamo valore e contenuti, più difficile sarà per gli uomini tenerci ai margini». Le hanno appena assegnato una stella sulla Hollywood Walk of Fame. Che cosa ha pensato? Era ora? «No, quello lo avranno pensato mio marito, mia mamma, il mio agente. Io non sono mai molto a mio agio nei momenti di gloria, non li sogno mai. Anche perché sono superstiziosa e penso sempre che nel momento esatto in cui comincerò a credere “ehi, questo me lo merito”, tutto andrà a rotoli». Posso chiederle un consiglio per un’amica che ha appena scoperto di aspettare due gemelli? «Non sarò originale, comunque: nonostante la tentazione di semplificare, niente vestitini uguali. E attenzione a ricordarsi sempre che sono due individui distinti. Non c’è bisogno che inizino a camminare insieme lo stesso giorno o a parlare in sincrono. I nostri, che hanno appena compiuto tre anni, sono molto diversi, come olio e aceto, e io li incoraggio a essere tali. E se non li incoraggiassi io, ci pensano loro a ricordarmelo». Ultima domanda: è vero che è stata lei a portare l’allenatore Carlo Ancelotti a fare un cameo in Star Trek Beyond? «È stata un’idea di mio marito che, come saprà, è un ex calciatore. Eravamo andati a cena con Carlo e sua moglie, a Vancouver, mentre io ero sul set. Ancelotti mi aveva detto di essere un fan di Star Trek da sempre. Allora Marco, tornando a casa, mi ha suggerito di chiedere al regista di trovargli una parte. Detto, fatto. Da quel giorno, per tutta la troupe, io sono diventata la rockstar del set, perché avevo portato Carlo in mezzo a noi».