Vanity Fair (Italy)

le sciure alle sfilate

Alla settimana della moda, a Milano, si aggira un ragazzo barbuto: è ANGELO T., ideatore di @Sciuragram, l’account social più amato dagli stilisti. Che qui fa un appello ad Alessandro Michele

- di silvia bombino

Non è Banksy, non è Elena Ferrante, eppure anche Angelo T., ideatore e gestore dell’account @Sciuragram, ci tiene alla sua privacy. «Vorrei che le protagonis­te fossero le sciure, non io», spiega. Di lui fa sapere: che viene da un piccolo paese in provincia di Matera (dove lo riconoscer­ebbero subito), ha 24 anni, avrebbe preferito studiare fotografia ma «non ho avuto il coraggio tra virgolette» e si è appena laureato in Biotecnolo­gie alla Statale di Milano. Mentre attende di iscriversi al biennio della specialist­ica, ora lo potete avvistare in first row, la prima fila di alcune sfilate della settimana milanese della moda, fino al 26 febbraio, dove ormai lo invitano («ma Miuccia e Donatella no»). Se siete delle sciure vi chiederà di potervi fotografar­e. Nato per un «voyeurismo antropolog­ico» a dicembre 2016 ed esploso sei mesi dopo, a @Sciuragram sono arrivati gli apprezzame­nti, tra gli altri, di Stefano Gabbana, Laura Pausini, Chiara Ferragni – con cui ha anche collaborat­o per delle Tshirt –, lo Stato Sociale – che lo ha taggato per l’esibizione sanremese con «la vecchia che balla». Ma soprattutt­o di Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, di cui Angelo sembra un clone con i capelli corti. «Quando ho visto che mi seguiva ho pensavo che avesse sbagliato a cliccare e che sarebbe durato una settimana. Invece è ancora qui, un’emozione immensa». Vogliamo smentire la voce che vuole @Sciuragram un prodotto di Alessandro Michele? «Smentisco. Sono solo io. Anche se mi piacerebbe incontrarl­o, è il mio mito assoluto». La campagna di Gucci con Barbara Alberti e Marina Cicogna è nata dopo l’invenzione di @Sciuragram. Crede di essere stato d’ispirazion­e? «Non credo e non ho l’arroganza di pensarlo. Sono campagne bellissime, non ho potuto che condivider­le anche io». Altre maison o marchi non l’hanno già cercata? L’account ha pur sempre 110 mila follower. «Sì, mi cercano, ma, visto che non ho bisogno di mantenermi grazie all’account, faccio una selezione abbastanza rigorosa. L’unico contenuto sponsorizz­ato fatto finora, non a caso, è un post con Uber, un territorio diverso dal mondo fashion». Fotografa tutte lei le sciure? «Certo, sia per strada col cellulare che alcuni posati. Mi arrivano però un centinaio di immagini al giorno e non le riesco a vedere tutte: alcune donne si autocandid­ano, altre me le mandano figli e nipoti orgogliosi». Mai nessuna si lamenta? I commenti alle foto, come «Non si guarda mai in camera; sguardo sempre verso l’orizzonte che fa fashion blogger», sono ironici. «Non prendo in giro, io le sciure le idolatro. Ma c’è chi non ha senso dell’umorismo. Se mi chiedono di rimuovere una foto lo faccio senza problemi». Che differenza c’è tra una sciura ben vestita? «La sciura si veste bene anche per andare al supermerca­to o in metropolit­ana, probabilme­nte si sveglia già con la pelliccia. Mia nonna si vestiva elegante solo per un evento importante». A casa che cosa dicono? «I miei sanno a malapena che cosa è Instagram. Quando sono tornato giù a Natale, l’ultima volta, ho spiegato che sto avendo un certo seguito su Internet. Non so se hanno capito». Ma la sostengono? «Diciamo che loro mi vedono piuttosto laureato in Biotecnolo­gie e magari con un lavoro all’ospedale San Raffaele. Però non c’è stata una reazione negativa. I miei coetanei, amici d’infanzia, studenti fuori sede, invece sono divisi: alcuni mi apprezzano, altri mi snobbano, pensano che la moda sia un mondo frivolo». Invece potrebbe essere un lavoro interessan­te, e divertente, per lei. «Per ora @Sciuragram è un hobby, ma non escludo niente». Che altra parola sa in dialetto milanese? «Cadrega, sedia. E basta». e una signora

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