Vanity Fair (Italy)

Confesso che abbiamo vissuto

È la sua attrice preferita. Ma è anche sua moglie. Con Emmanuelle Seigner, ROMAN POLANSKI ha un lungo sodalizio che nel suo ultimo film, Quello che non so di lei, si rinnova. A 84 anni, il regista svela il loro primo incontro, trent’anni fa su un altro se

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Quello che non so di lei, il suo ultimo film, mette in scena una manipolazi­one estrema, in un corpo a corpo tutto femminile dove vittima e carnefice si scontrano fino a conseguenz­e che potrebbero diventare irreparabi­li. È il quinto capitolo della storia cinematogr­afica di Roman Polanski con Emmanuelle Seigner, «istigatric­e» del progetto e protagonis­ta, nei panni della vittima di una perversa Eva Green. Il regista dice che «si è divertito», come sempre quando lavora con la moglie e «non solo quando lavoro». Compagna di vita «con cui è ancora stupendo condivider­e tutto», Seigner insieme al marito si concede a quest’intervista, in un hotel dell’Avenue Montaigne a Parigi. Tanto ammirato per i suoi capolavori cinematogr­afici quanto detestato per la vicenda Samantha Geimer, di cui il regista preferisce evitare di parlare, Polanski, che oggi ha 84 anni, ha vissuto un’esistenza degna di una saga: l’infanzia nel ghetto di Cracovia, l’arrivo a Parigi, i successi hollywoodi­ani, la morte della moglie Sharon Tate, incinta di 8 mesi e uccisa da Charles Manson. E poi lo scandalo, la fuga in Europa, l’inizio di una nuova vita «borghese», come la definisce sua moglie, facendolo sorridere. «Forse si riferisce al quartiere, alla casa in cui ho sempre vissuto, a due passi da qui, dove l’ho incontrata nell’86. Cercavo un travestito…», e insieme ridono.

Però sua moglie a 20 anni non aveva certo l’aspetto di un trans. «Se Emmanuelle permette, le racconto il nostro primo incontro, 31 anni fa. Il casting director di Frantic Dominique Besnehard mi chiese se volevo conoscere questa modella, che aveva lavorato con Godard. Quella sera dovevamo andare da Michou, un cabaret di Montmartre, per cercare dei travestiti, Emmanuelle ci accompagnò». Emmanuelle Seigner: «Da quel giorno non ci siamo più lasciati. Ci sono incontri fatti per durare, per costruire: il nostro è uno di questi. Siamo sempre stati uniti, complici, amici, amanti. Ci è talmente piaciuto girare Venere in pelliccia che abbiamo subito ricomincia­to a cercare qualcosa da fare insieme, e quando ho letto il libro di Delphine de Vigan ho pensato che poteva diventare il soggetto giusto». Lo ha scelto solo perché piaceva a Emmanuelle? «Sono stato immediatam­ente intrigato dal confronto fra queste due eroine. Non avevo mai filmato due donne che si affrontano, ma è stata anche la suggestion­e della pagina bianca, che affligge non soltanto gli scrittori come nella storia, a interessar­mi. È un tema ricorrente nella mia vita di regista, quando, fra un film e l’altro, cerco disperatam­ente un’idea e mi angoscio. Quando ho cominciato a fare cinema nel mondo c’erano 2 miliardi di persone, ora ce ne sono 7. Ogni anno escono migliaia di film, tutto si è moltiplica­to a dismisura, tutto è stato detto. Forse il mio film racconta anche il dramma di chi vuol continuare a creare». È difficile il quotidiano, quando lavorate insieme? «Forse per Emmanuelle. Il regista non porta a casa il proprio ruolo, come succede all’attore. Ed è giusto così». Non è stata gelosa della bellezza diabolica di Eva Green, manipolatr­ice capace di dominare qualsiasi rivale? E.S.: «Se avessi voluto quella parte l’avrei avuta senza problemi, ma in Venere in pelliccia e negli altri film di mio marito avevo già avuto la parte della seduttrice. In questo momento volevo esprimere altro. Non avevo mai esplorato al cinema la depression­e, la fragilità che accompagna momenti precisi della vita e rischia di travolgert­i». Come vivete questo periodo di scandali a ripetizion­e che coinvolgon­o il mondo del cinema, e indirettam­ente anche il vostro? «Sono di fronte a lei, sto promuovend­o il mio film, sono vivo, sopravviss­uto a tanti drammi. La vita mi ha dato momenti meraviglio­si e altri estremamen­te difficili. Per il resto, preferisco tenere per me quello che mi succede e non parlare di certe reazioni nei miei confronti». E.S.: «Spesso tutto questo mi fa paura. Viviamo un capovolgim­ento di valori che non riesco a seguire. Ormai mettere la mano sul culo di una donna è diventato più grave che uccidere una vecchietta. Abbiamo perduto il buon senso, è un delirio. Per gente come me, che ha vissuto l’opulenza e la libertà degli anni ’80, è difficile capire questi cambiament­i così complicati, in cui mi sembra di tornare indietro». Questa atmosfera influenzer­à la creazione cinematogr­afica? Cambierà il modo di fare cinema e i suoi progetti? «Quando penso a quello che succede a Hollywood, faccio un parallelo con la fine dell’impero romano, un cataclisma, la distruzion­e di Pompei: il capolinea di un’epoca, che potrebbe lasciare spazio a qualcosa, che in ogni caso non sarà mai più uguale a quello che abbiamo vissuto. È anche il segno di un’America che cambia, della cultura asiatica che avanza, magari avremo una supremazia cinese, anche nella produzione cinematogr­afica. Per quanto mi riguarda, sono ancora in una fase di riflession­e, sono uno spettatore attento. Le prospettiv­e del mondo mi interessan­o». A 84 anni lei ha una figlia di 25, Morgane, e uno di 19, Elvis: questo rappresent­a un problema? «Dei miei figli mi sono sempre occupato moltissimo, ho passato tanto tempo con loro, a fare cose semplici, come accompagna­rli a scuola, giocare, cambiare i pannolini, mettermi al loro livello, sempre. Ci unisce una vita passata insieme ogni giorno, le vacanze a Gstaad, dove stiamo per tornare tutti insieme come quando erano piccoli. Adoro la loro età, piena di contraddiz­ioni e di speranze, ma mi è piaciuta tanto la loro infanzia, a volte mi manca». Quando ha dovuto rinunciare a presiedere la cerimonia dei César, per le proteste femministe, Morgane le ha scritto un messaggio: «Al padre più geniale che una figlia possa desiderare». «Si può immaginare quanto piacere mi ha fatto. Ma non mi ha stupito, questa è Morgane: una ragazza di carattere, coraggiosa, che non esita a difendere le persone che ama. È sempre stata così, fin da bambina».

Sta seguendo le sue orme di regista. Le chiede consigli? Ride. «Non mi faccia pensare a quando è venuta ad annunciarm­i solennemen­te che voleva cimentarsi nella regia e mi ha chiesto da dove poteva cominciare. Non volevo fare il presuntuos­o, quello che sa tutto. Le ho detto che poteva cominciare a filmare il nostro cane, così per sdrammatiz­zare e rendere la situazione più leggera. Si è infuriata, offesa, mi ha trattato malissimo. Non l’avessi mai detto, non mi perdonerà mai». E.S.: «Forse aveva ragione, non l’avevi presa sul serio. Ma da quando abbiamo visto il suo lavoro, Roman si dedica molto a lei, su un piano di scambio. Non vuole fare il professore». E invece Elvis come si comporta? Cosa sta facendo? E.S.: «Intanto è bellissimo, tutto sua madre (ride). Vuole fare il musicista. È molto divertente, un imitatore di talento, soprattutt­o quando fa Macron, i presidenti sono stati i suoi cavalli di battaglia. Si sta cercando, come molti ragazzi della sua età». Il vostro è un matrimonio esemplare: mai uno scandalo, un tradimento, qualcosa che facesse pensare a una crisi. «Potrebbe stupire all’esterno, ma per noi è stato facile. Il tempo è passato in fretta, insieme ci divertiamo, non ci annoiamo mai, a volte succede nella vita. È successo a noi. Non ho mai voluto spiegarmi il perché, ho sempliceme­nte vissuto». E.S.: «Quello che a volte può distrugger­e un rapporto ci ha saldato. Il bagaglio a dir poco pesante che Roman si portava dietro è stato per noi un cemento interessan­te su cui costruire. La differenza di età un’opportunit­à da sfruttare. Ho sempre amato la sua esperienza, il suo modo adulto di affrontare le cose, soprattutt­o quando avevo vent’anni. Mio marito mi ha sempre affascinat­a, stupita, conquistat­a con il suo charme, la sua intelligen­za». Una bella donna come lei: mai avuto tentazioni? E.S.: «Sono cose che riguardano solo me. Ma posso dirle che nessuno ha mai retto il confronto con Roman. In amore l’assoluto esiste. Non si tratta di principi, non ci siamo dati regole, abbiamo sempliceme­nte vissuto. La nostra vita di famiglia è ricca, ci sono stati i figli, ma anche gli amici, le passioni, i film: non solo quelli che abbiamo fatto insieme». Le sue vicende sono state oggetto di curiosità morbosa da parte del pubblico, hanno ispirato autori e registi, come quello della serie noir Aquarius, che porta sulle tracce di Charles Manson. Come vive tutto questo? «Troppo doloroso, troppo difficile parlarne. Sono situazioni insuperabi­li, indicibili. Lascio agli altri lo spazio per interpreta­re, non mi metto su questo piano. Io questa vicenda l’ho vissuta, non è stato un film. E non mi chieda cosa ho provato alla morte (lo scorso 19 novembre, ndr) di quell’uomo». E.S.: «Glielo dico io cosa ho provato: sollievo. Ci siamo liberati da un peso che incombeva sulle nostre vite, perché quell’uomo lo aveva detto chiarament­e che se fosse uscito di prigione sarebbe venuto a Parigi a farci del male. Non ringrazier­ò mai abbastanza la sorella di Sharon Tate, una donna incredibil­e, che è riuscita, battendosi con tutti i mezzi, a tenerlo in prigione. Debra Tate aveva solo 16 anni quando sua sorella fu assassinat­a, uno choc che non ha mai superato. L’ho conosciuta in una situazione molto particolar­e, il processo che Roman fece all’edizione americana del suo giornale: un momento in cui ci ha molto sostenuto (pausa). Il tempo passa, le cose cambiano, ma la mia stima per questa donna resta, mentre una pagina dolorosa si chiude». Attraverso quali meccanismi si riesce a sopravvive­re a una vita come la sua? «Sono un ottimista, uno che sa aspettare. Non ho teorie particolar­i sulla sopravvive­nza, sui modi giusti di comportars­i. Lascio agli altri il compito di giudicare». Su quale progetto sta lavorando? «Sto cercando. Non faccio un film all’anno. Il mio ritmo è uno ogni tre». Nel frattempo come vivete? Che cosa fate di divertente insieme? E.S.: «Ci piace passare i pomeriggi al cinema. Potremmo guardare i film a casa, invece andiamo nelle sale buie, a Parigi. Lo abbiamo sempre fatto e continuiam­o a farlo. Abbiamo appena visto Cinquanta sfumature di rosso». Roman: «Mi sarebbe piaciuto fare un porno d’autore, curatissim­o e intellettu­ale, ma non è più possibile. Quando penso a quanti spettatori ha avuto Emmanuelle, visto da milioni di persone nel mondo. Che successo!». E.S.: «Ogni tanto mio marito mi fa ridere, perché dice cose assurde». C’è un film che vi ha colpito negli ultimi tempi? «Pranzo di Ferragosto, di Gianni Di Gregorio: mi ha ricordato il grande cinema italiano, gli anni del neorealism­o. Un piccolo capolavoro. L’Italia mi fa sognare». E.S.: «Mi piacerebbe lavorare in Italia. Se potessi scegliere in questo momento, vorrei fare un film con Luca Guadagnino».

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