Vanity Fair (Italy)

Moby alla fine dell’umanità

- john vignola

Ha registrato tutte le nuove canzoni nella sua camera da letto, a Los Angeles. «È lì che ho allestito uno studio per suonare e registrare, senza perdere la concentraz­ione, senza spostarmi da una parte all’altra del mondo», spiega Moby. Everything Was Beautiful and Nothing Hurt (a destra, la cover) è nato fra la primavera e l’estate del 2017. Il musicista di New York lo dedica «alla fine dell’umanità: immagino che gli esseri umani si siano estinti e che io e la mia amica July siamo extraterre­stri che ne ripercorro­no gli errori». Un concept poco consolator­io, sembrerebb­e, anche se la musica di Richard Melville Hall non era così avvolgente dai tempi di Play, disco che nel 1999 gli spalancava le porte di un successo mondiale, sostenuto da un electropop ipnotico, stranito, travolgent­e. Molti album dopo – questo è il quindicesi­mo –, Moby presenta una serie di divagazion­i musicali «volutament­e imperfette, che gli ascoltator­i possono correggere o riscrivere come vogliono, in Rete», il cui tema è «sinistro solo all’apparenza». Perché? Sostiene Moby: «Sono ancora convinto che la bellezza salverà il mondo, ma abbiamo bisogno di scosse estreme per cambiare il nostro modo di vivere prima che sia troppo tardi».

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