AGNÈS VARDA E L’ARTISTA JR, CANDIDATI «DOC» ALL’OSCAR
Ha appena vinto quello alla carriera, ma ora punta, da più anziana nominata di sempre, a conquistare la statuetta più prestigiosa. Del resto AGNÈS VARDA, tre vite alle spalle come ama dire, non ha mai seguito il pensiero comune. Ha sempre combattuto per «
La regista francese Agnès Varda, quasi 90 anni, continua a essere celebrata. Col passare del tempo, è stata elevata a oggetto di culto della personalità. Il 2017 sarà ricordato per il suo ritorno dietro la cinepresa, dieci anni dopo il suo magnifico documentario Les plages d’Agnès, favola autobiografica che racconta la bella odissea che è stata la sua vita. Durante questo decennio di assenza dal cinema, Varda non ha certo oziato. Dopo la Biennale di Venezia 2003, dove presentò l’installazione Patatutopia, si sono susseguite diverse sue mostre in tutto il mondo, sia come fotografa che come visual artist. Le piace dire di aver avuto tre vite. La prima come fotografa: alla fine degli anni ’40 al festival del teatro di Avignone, in Cina nel 1956, a Cuba nel 1962. Affascinata dall’energia che regnava a L’Avana e dintorni, tra socialismo e cha-cha-cha, ha fotografato Fidel Castro. In Italia, ha realizzato il ritratto di
Visconti. La sua seconda vita è stata quella da cineasta. La terza, la realizza come visual artist. Dopo settant’anni di creatività, Agnès Varda non sembra pronta a restare seduta in poltrona davanti al camino della sua casa annidata sulla Rive gauche di Parigi, dove vive dagli anni Cinquanta. Non è lontana dal cimitero di Montparnasse, dove riposa suo marito, il regista Jacques Demy, autore di Josephine e Les parapluies de Cherbourg. Sfoggia fieramente la sua acconciatura, un leggendario taglio a scodella diventato bicolore col tempo. Rimane forse un rammarico: aver smesso di catturare ogni istante della sua vita e avere solo tre foto con Jacques Demy. Ma «non bisogna cercare di capire come si è vissuti e perché si sono fatte certe cose». Qualche settimana fa, ballava con Angelina Jolie per l’Oscar alla carriera, prima regista donna a riceverlo. Agnès Varda ha un’insaziabile curiosità. Colpisce per la sua vitalità: niente sembra sfuggire a questo spirito libero, fuori dagli schemi, sempre attratta dalle esperienze più incongrue e più interessanti, come la sua improbabile collaborazione con l’artista JR, con il quale ha codiretto il commovente documentario Visages, villages. Insieme, hanno attraversato la Francia in un camioncino per tracciare il ritratto delle mogli degli scaricatori di porto, di un postino, dell’ultima abitante di un coron (quartiere di case per minatori) vicino alle miniere nel Nord della Francia, di un agricoltore. Questo film testimonia una grande amicizia tra loro. Lo dimostra il fatto che, quando Agnès non ha potuto partecipare al pranzo dell’Oscar alla carriera, con grande senso dell’umorismo ha inviato una replica di se stessa in cartonato che ha fatto il viaggio fino a Los Angeles con JR. Così, ha condiviso ogni momento della cerimonia e accompagnato gli artisti. Sulla foto ufficiale la troviamo vicino a Meryl Streep e Steven Spielberg.
Ci racconta com’è nato Visages, villages? «Mia figlia Rosalie ha contattato JR. Ci siamo incontrati e ci è venuta subito voglia di fare qualcosa insieme. Conoscevo il suo lavoro, mi avevano colpito i ritratti di anziani che aveva fatto a Cuba. E poi mi ero innamorata del suo camioncino magico. Si entra dal retro del veicolo, sembra che si stia per fare una fototessera bruttina per un passaporto, invece è un poster quello che esce dal lato. Vengono tutti bene! Mi è parso ovvio unire il modo in cui JR rappresenta le persone, mettendole in risalto, valorizzandole, con la mia tecnica del documentario. JR è un artista urbano mentre io amo la campagna e i paesini. Volevo quindi strapparlo dalla città. Mi dicevo che era nei villaggi che avremmo incontrato le persone, ed è quello che è accaduto. Avendo fatto molti documentari, so
che all’inizio si parte con un’idea ma ben presto per il caso, gli incontri, tutto di colpo si cristallizza su qualcuno. E io penso che siamo stati molto fortunati. L’idea era creare un legame, un legame tra noi e le persone, un legame tra loro e un legame tra JR e me». Le persone che si lasciano fotografare, e accettano che i loro ritratti siano appesi sui muri, hanno un’aria allo stesso tempo stupita e contenta di vedersi, come se queste foto le mostrassero finalmente per quel che sono. «Sì, sono persone cui si lascia raramente la parola. Prima di fotografarle, conversiamo a lungo con loro. Ma a differenza delle città, nei paesi tutti si conoscono: stampare una fotografia enorme fa sì che gli altri abbiano uno sguardo nuovo verso chi è ritratto oppure che, semplicemente, lo guardino. Lì inizia una nuova conversazione. Prima di tutto sul loro modo di vedersi così: è l’aspetto visivo. Ma queste persone amano soprattutto essere ascoltate, che ci si interessi a ciò che fanno. Noi abbiamo avuto l’impressione di essere dei passanti che vi offrono la possibilità di conoscerli». Che cosa pensa di quello che è successo ultimamente con l’affare Weinstein? «È sempre una cosa positiva quando le donne si fanno sentire un po’ di più. Il potere sociale può essere orribile, ancora di più quando diventa potere sessuale. È una battaglia da portare avanti ovunque, negli uffici, nelle fabbriche, là dove lo ius primae noctis esiste ancora. Una battaglia da portare avanti insieme, uomini e donne. In Francia dobbiamo ancora farne di strada. Le donne hanno diritto di voto solo dal 1944. Io ho firmato il Manifesto delle 343 che diceva “Dichiaro di aver abortito”: un vero atto politico, è stato molto utile. Sono femminista perché credo nei diritti delle donne, nell’intelligenza delle donne, nelle loro capacità, nel posto che devono ricoprire nella società e nella famiglia. Quello che mi sciocca è che ci si renda conto solo ora che il problema esiste. È legato al potere sociale innanzitutto, e gli uomini ne sono complici. Quello che cambierà è che ne prenderanno coscienza. Per esempio, ha visto che cosa ha detto Tarantino a proposito di Weinstein? “Lo conoscevo, era un mio amico. L’ho visto fare delle porcherie, ma non ho detto niente, non ho detto
«SONO FEMMINISTA PERCHÉ CREDO NEI DIRITTI DELLE DONNE, NEL POSTO CHE DEVONO RICOPRIRE NELLA SOCIETÀ E IN FAMIGLIA»
niente agli altri e ora mi dico: avrei dovuto dirlo, non avrei dovuto lasciarlo fare mentre io sapevo”. È questo che bisogna cambiare: un’idea della virilità che fa sì che gli uomini provino una certa soddisfazione nel molestare e poi scherzarne tra di loro. Adesso hanno un po’ iniziato a rendersi conto che devono essere più corretti. Forse le cose cambieranno. Tra un uomo e una donna, il desiderio di sedurre è normale. Ma a un certo punto bisogna sapere che forma di seduzione si sceglie: può essere normale oppure superare i limiti». E qual è la sua opinione su #BalanceTonPorc, denuncia il tuo maiale? «Non sopporto questa formula, prima di tutto perché ho conosciuto la guerra e le spie, e poi per me che ho vissuto in America “pig” significa “sbirro”. Se un uomo si comporta male, deve rispondere del suo gesto. E le donne che fanno tutti quei bei discorsi sulla metropolitana (il riferimento è al manifesto apparso su Le Monde firmato da 100 donne tra cui Catherine Deneuve, ndt) non prendono il metrò da un bel po’ di tempo. Il problema è quello che viene definito “effetto siderazione, blocco”. Le ragazze che, in metrò o in autobus, sono vittime di quelli che si strusciano contro di loro spesso si ritrovano paralizzate nel momento in cui accade e non riescono a gridare o a difendersi. Il diritto di sedurre è importante, ma bisogna fare attenzione: è vero che ci sono ragazze che vanno in giro “con le tette di fuori e la gonna a filo passera”, e queste non devono stupirsi se a qualcuno viene voglia di metter loro la mano “sul didietro”. È sexy, è fantastico, ma devono sapere quali rischi corrono. Se si vestono così, non possono bloccare un desiderio di possesso. Ma gli uomini che si comportano male sono o malati o crudeli. E poi tutto parte dall’educazione. Bisogna determinare la dose di femminismo da inculcare nei ragazzi: ecco cos’è importante. Questa battaglia dobbiamo portarla avanti insieme, uomini e donne uniti».
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