Vanity Fair (Italy)

A CASA DI MARIANO DI VAIO

Oggi è «il re degli influencer», corteggiat­o dagli stilisti e amato da milioni di persone. Eppure, visto da vicino, MARIANO DI VAIO è un ragazzo come gli altri, che rifugge gli eccessi e lavora sodo. Qui, ci racconta come è arrivato al successo: un grazie

- di SILVIA BOMBINO foto AMILCARE & ALEX

Aun certo punto sparisce. Cellulare staccato, non si trova. Il sole è pallido, al golf club di Perugia soffia un vento gelido, lui si è fermato fuori a «fare due buche», noi ci siamo rifugiati dentro. Passano i minuti. Marketing Specialist e Press Office sono sempre più nervosi. Si cerca la Range Rover: c’è, non può essere lontano. Si controlla il green: nessuna traccia. Ci si aggrappa alla spunta di WhatsApp. Molto dopo diventa azzurra, lo chiamano in tre, il più veloce esulta: Mariano c’è, arriva.

Uno come Di Vaio non ha tempi morti. O meglio: i suoi sono quelli di Big Jim. C’è il Mariano-ambassador, che appare nei post di Instagram. C’è il Mariano-imprendito­re, che va in ufficio a gestire la sua azienda, NoHow. C’è il Mariano-architetto, che sceglie le finiture della nuova sede, cinquemila metri quadrati perché quella di prima, mille e duecento, non basta più. C’è il Mariano-stilista, che disegna i capi della sua linea. C’è il Mariano-modello, che si prova una maglia a righe: mandiamo in produzione la riga nera, o la riga bianca? La riga bianca è più estiva, quella nera più cupa, la bianca è più femminile, la nera più maschile, la bianca fa risaltare l’abbronzatu­ra, la nera però, «Mariano, devi pensare che non tutti sono abbronzati come te». È la dura vita dell’influencer, o del fashion blogger, come tre anni fa aveva cercato di farsi scrivere sulla carta di identità, ma era elettronic­a e non si indicava più. Con 6 milioni e 300 mila follower solo su Instagram, Mariano è l’influencer più potente d’Italia dietro Chiara Ferragni (11,7 milioni), e tra gli «instaboys» – bei ragazzi del mondo della moda, del lusso, degli sport estremi – è secondo soltanto a Nick Bateman da Miami, che lo stacca «solo» di 500 mila seguaci. «Mariano, però, ha un target più appetibile per i marchi del lifestyle maschile: al 60% è seguito da uomini tra i 25 e i 35 anni». I numeri non sono tutto, ma contano: ogni giorno il suo team li analizza. In ufficio su una parete si incollano le foto in ordine di engagement. Quella che ha ottenuto più like su Instagram, oltre 500 mila, è un cagnolino. Lo faccio notare. «Non è aggiornato», mi dicono. «E poi gli animali tirano, sui social». Mentre mentalment­e cerco di moltiplica­re i potenziali «mi piace» di una foto di Mariano che accarezza un cane, mi spiegano che non è così facile. Dietro a ogni scatto c’è uno studio complesso e soprattutt­o non si monetizza più il singolo post. Con i brand, di solito, si chiudono grosse campagne di comunicazi­one, che mostrino poco il prodotto, «e facciano storytelli­ng». Le entrate sono da capogiro. E non si limitano all’attività pubblicita­ria sui social, per cui Mariano è impegnato con cinque, sei post alla settimana, ma toccano anche il sito di e-commerce NoHow Style che vende i marchi del lusso più il suo. Almeno 200-250 ordini al giorno, svariati milioni di euro l’anno. «In due anni siamo passati da 5 a 25 persone». La prima impiegata, Marie, italo-russa, ora dirige il customer care smistando, anche, richieste tipo: quanto misurano i capelli di Mariano di lato? E sul ciuffo?

Entra Mariano. «Quando vuole stare solo, va a giocare a golf», mi dicono. Lui conferma: un po’ lo fa apposta, per staccare, liberare la testa. Ma non è questo il caso. Si era spinto troppo in là, e «si sa, i caddy non passano mai», ride. Alterna disinvolto accento perugino, napoletano e inglese, tra un «be careful» e un «disgraziat­o» rivolto al figlio Nathan Leone detto Leo, 14 mesi (Elisabetta Gregoraci, mamma di Nathan Falco, ha mandato l’sms «che bel nome»), che curiosa in giro. Poteva chiamarsi Pasquale, come nonno, che da Napoli si era trasferito a Perugia per studiare odontoiatr­ia, e poi aveva aperto un negozio di cellulari. Papà Mariano non sapeva cosa fossero, ma Pasquale voleva dimostrarg­li di potercela fare. «Quando scendo a Napoli è un disastro», dice Mariano-nipote, che non può camminare per strada da quanti fan ha, e che pur essendo juventino prova un lieve piacere per le vittorie del Napoli. A Perugia ha trovato un’oasi. Mai pensato di trasferirs­i a Milano, città della moda, ma ha fatto infinite pressioni sull’amico sindaco Andrea Romizi (Forza Italia), per collegare la metropoli a Perugia con un Frecciaros­sa e ora che l’alta velocità è arrivata è merito anche di Mariano. Che, mentre mangia due etti di pasta integrale all’olio, mi avverte che di queste cose non parla mai: la regola aurea dell’influencer è «mai parlare di calcio o politica».

Mariano, dopo lo scientific­o, si iscrive a Scienze politiche, dà sei esami. Ma poi parte per Londra, per imparare la lingua. Fa il lavapiatti. Il cameriere in un pub dalle 11 alle 3 di notte. Si fa assumere in

un negozio di abbigliame­nto, prima come commesso poi come ragazzo-immagine, accanto ad altri belli. Gira le agenzie di modelli, ma non è palestrato, non è altissimo: decide di ingegnarsi. «Comprai delle Timberland e le inzeppai di cotone per guadagnare centimetri». Nell’unico posto dove non gli chiedono di togliersi le scarpe, lo prendono: in quel momento è alto 1 metro e 87, ma tocca il cielo. Inizia a fare decine di provini, rimborso spese 50 euro. «Avevo un certo successo con le donne, all’epoca ero biondo con i capelli lunghi». Le avances arrivano anche dai maschi, lui gentilment­e declina. Mentre è lì a divertirsi, a casa i genitori sperano che Mariano metta «la testa a posto». In effetti torna, dà altri sei esami e lavora nel negozio di cellulari tutti i pomeriggi, per 600 euro al mese. A fine 2008 apre, per gioco, una pagina Facebook in cui riversa le foto da modello fatte a Londra. Ma non si ferma. Va a New York per fare una scuola di recitazion­e, vive in ostello con altri quattro in cerca di fortuna. «Erano sempre su Internet a cercare recensioni, di tutto: cosa fare, mangiare, indossare, affittare. Per me la Rete serviva solo a scaricare i libri dell’università e postare le foto su Facebook», dove i seguaci, intanto, sono ormai 10 mila. Un’epifania: compra una macchina fotografic­a, torna a Perugia, apre un blog di cinema e moda e si fa fotografar­e dall’amica Eleonora, che poi diventerà sua moglie, coi vestiti rubati all’armadio del padre. I like aumentano e Mariano assolda una fotografa di profession­e, che poi molla perché «girava con i tacchi alti e avevo bisogno di una persona più agile». Apre un profilo Instagram per modificare le foto con i filtri. Anche quelle foto senza commento guadagnano migliaia di like. 40 mila follower dopo, il bivio: o il negozio di papà, o il salto, senza i soldi di papà. «Mi scrivevano aziende, showroom. Un giorno anche la Renault: mi avrebbero dato la loro auto elettrica, la Twizy, per una “operazione di marketing”. Pensai: si chiama così quello che faccio?».

Papà Pasquale è disperato. Davanti al tir che scarica l’auto in giardino, grida: «Che cosa hai fatto! Si calmò solo quando sulla bolla lesse “Comodato d’uso gratuito”». Casa Di Vaio diventa un porto di mare: la «roba di Mariano» – scarpe, abiti, orologi – inizia ad arrivare e partire a flusso continuo. «Avevo 21 anni, mi ero installato nello scantinato. Presi la prima dipendente, un computer, un tavolo di legno e due cavalletti da Leroy Merlin». Poi, l’idea: si può vendere anche, attraverso il blog? Inserisce nei post i link a e-commerce esterni e scopre che «la gente comprava un botto. In un giorno, per esempio, 190 orologi da 59 euro. Feci il conto: se li avessi guadagnati io era meglio». Un amico smanettone gli costruisce un sito, ma non ha roba da vendere. Va in missione a Prato e compra felpe, magliette e cappellini per 5 mila euro, li fa stampare con un polipo, un’ancora e una corona: vende tutto e ne guadagna 15 mila. Poi, però, li deve spedire: i corrieri si moltiplica­no. Papà Pasquale caccia tutti di casa, e nel 2014 nasce la prima sede dell’azienda di Mariano Di Vaio. Che non lavora e basta: una volta è in vacanza a Tarifa a fare surf, con gli amici. Fermi a un semaforo, la musica a palla, tre ragazze lo inchiodano: «Ma sei tu?». Lui deve spiegare perché firma autografi «pur non essendo la Hunziker».

Oggi, tra una partita a golf a Dubai e un volo con jet privato a Ginevra, l’influencer più famoso del mondo non ha sogni irrealizza­bili: «Mi piacerebbe avere una casa al mare, magari su un’isola greca. Non voglio fare il passo più lungo della gamba, sono prudente, perché mi sono sposato, ho un figlio, e ne arriva un altro». Non ha messo sui social le ecografie, ma quando Nathan Leone è nato ha subito registrato il suo account su Instagram, che ora ha 217 mila follower. «Ho già io moltissimi fake account. Sapevo che appena avremmo rivelato il nome di Leo avrebbero creato decine di falsi profili pure su di lui. Così ho deciso di registrarl­o e gestirlo io, per proteggerl­o». Faccio notare che non lo ha solo registrato, ma lì vengono sponsorizz­ati anche abiti per neonati. «Ce li regalano». Solo una cosa non vedremo mai della vita di Mariano, «i pranzi con la famiglia. Lì, mi dimentico il cellulare». Oggi non pensa più, ogni tre secondi, «potrei fare una foto». E papà Pasquale, 51 anni, lavora con lui. In ufficio un poster, appeso alla parete, ricorda: be humble and ambitious e c’è chi lo paragona a Steve Jobs, in ricordo di quello scantinato dove è nato tutto. Mentre si accende una sigaretta elettronic­a – unico vizio in una routine fatta di allenament­o casalingo («in palestra ero assediato») – chiedo a Mariano se non è stanco, se non pensi a un successore. «Ci ho riflettuto. Ma per ora, con il mio team, abbiamo deciso di proseguire con l’evoluzione della mia vita».

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In questa pagina: giacca, gilet, camicia, cravatta e pantaloni, Corneliani. Orologio, Patek Philippe. Bracciale e anelli, Mariano Di Vaio Jewels. Scarpe stringate, Fratelli Rossetti. Pagg. 120-121, per Eleonora: abito, Atelier Emé. Sciarpa di pelliccia, Sini. Per Mariano: giacca, camicia e pantaloni, Ermenegild­o Zegna Couture. Orologio, Patek Philippe. Bracciale e anelli, Mariano Di Vaio Jewels. Per Nathan Leone: camicia e pantaloni, Carlo Pignatelli Junior. Pag. 122: giacca e pantaloni, Corneliani. Dolcevita, Falconeri. Orologio, Patek Philippe. Ha collaborat­o Ji Hyun Kim. Make-up Giorgia Pambianchi @Close Up Milano using Mac Cosmetics. Hair Claudio Furini @WM Management.

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