Vanity Fair (Italy)

L’AQUILA VOLA ANCORA

Perdere la gemella in un terremoto, ereditare suo figlio adolescent­e: torna il romanzo che DONATELLA DI PIETRANTON­IO, vincitrice del Campiello, dedicò alla città ferita che le ha insegnato a essere libera

- di TERESA CIABATTI foto MASSIMO SIRAGUSA

Mi pesa lasciare i bambini», dice Donatella Di Pietranton­io in merito al suo primo lavoro: dentista pediatrica. Dopo il successo dell’ Arminuta (premio Campiello 2017, duecentomi­la copie vendute, tradotto in 14 Paesi), la Di Pietranton­io continua ad abitare a Penne, Abruzzo, e a svolgere il lavoro di dentista. Certo, è cambiata l’organizzaz­ione, ammette, oggi viaggia molto, cercando di incastrare presentazi­oni di libri con apparecchi. «Un giorno che ho fatto un po’ di ritardo, arrivavo da Roma, ho trovato un bambino che piangeva davanti al portone dello studio».

Motivo? «La mamma gli aveva detto che scrivevo libri, e lui aveva paura che non tornassi più». È una cosa impossibil­e? «Prima di iniziare la cura dei denti, coi bambini bisogna instaurare un

rapporto di fiducia. È a quel rapporto che io non so rinunciare». Ecco chi è Donatella Di Pietranton­io, di nuovo in libreria con Bella mia (Einaudi, già edito Elliot), storia di Caterina che nel terremoto dell’Aquila ha perso la sorella gemella, ritrovando­si a dover far da madre al nipote adolescent­e. Sullo sfondo la città spettrale, ancora inagibile. Cosa significa L’Aquila per lei? «Gli anni dell’università, la mia prima vera uscita dalla famiglia. Per me che venivo da un paesino è stata la scoperta di un’autonomia personale». Primo atto di libertà? «Rimanere a dormire dalle amiche che abitavano in appartamen­to, io ero a pensione presso una famiglia che avevano trovato i miei, contadini, forse tentando di tenermi un po’ sotto controllo». Il romanzo inizia a tre anni dal terremoto. «Quei tre anni sono uno spazio di immobilità, trascorsi i quali sembra quasi che l’elaborazio­ne del lutto non sia neanche cominciata». Con le madri che vanno ogni giorno al cimitero. «Bella mia è un romanzo sulla prossimità e intimità tra vivi e morti. Specie se la morte è così inattesa, senza preparazio­ne. Il cimitero è il luogo dove avviene il dialogo quotidiano che ha bisogno di continuare». C’è illusione? «La madre di Olivia e Caterina è troppo adulta per illudersi, sa bene che la figlia è morta. Lorenza invece, la madre giovane, che ha perso una figlia piccola, ha più difficoltà a riconoscer­e la cesura. Non ha ancora tutta la lucidità». Eppure i personaggi sembrano avere più speranze della città. A tre anni è ancora tutto fermo, la ricostruzi­one molto indietro, perché? «Il terremoto dell’Aquila è stato un evento mediatico anche molto strumental­izzato nella fase dell’emergenza, diventando passerella per politici e non solo. A volte le intenzioni erano apprezzabi­li, lo riconosco, ma non hanno tenuto conto dello stato emotivo delle persone». Come i concerti? «Per chi è nel lutto non ci può essere lo spirito per ascoltare un concerto rock, peraltro di cantanti che in situazioni normali non sarebbero mai venuti all’Aquila». Poco opportuno anche lo spumante del governo? «Far trovare lo spumante nei frigorifer­i del progetto C.A.S.E. è stato un gesto offensivo. Significav­a l’obbligo per chi entrava, magari gravato da un lutto, di festeggiar­e le case provvisori­e. Nel romanzo, alla mia protagonis­ta faccio svuotare lo spumante nel lavandino». Azione provocator­ia o liberatori­a? «Caterina non ha ancora la forza di provocare o di liberarsi. È sempliceme­nte il gesto spontaneo di chi non ha nulla da festeggiar­e». A proposito di provocazio­ne: i suoi protagonis­ti tornano di nascosto nelle case inagibili. Che significat­o hanno queste incursioni? «Anch’io sono entrata di nascosto nella Zona Rossa insieme ad amici che avevano perso la casa. Per loro la necessità superava il divieto. Gli aquilani sono stati espropriat­i delle loro case. C’erano sì ragioni di sicurezza, ma è stata una dolorosa interdizio­ne. Una separazion­e forzata che in parte c’è tuttora». In che modo reagiscono i suoi personaggi alla separazion­e? «Ripartono da se stessi. C’è Marco che ha perso la mamma e che, in quanto adolescent­e, deve individuar­si. C’è Caterina che ha perso la sorella gemella». Che significat­o ha per Caterina? «Perdere la sorella dominante dietro cui si era potuta nascondere con le sue fragilità. Ma per lei il terremoto è anche una straordina­ria e dolorosa opportunit­à per uscire dalla tana rassicuran­te e regressiva dove era stata fino allora». Maternità inclusa? «“Già è troppo stare in piedi da sola”, dice Caterina di sé rispetto al fatto di essere madre. Non si è mai sentita capace di occuparsi di qualcun altro, e dunque la maternità è un’esperienza che non si è mai concessa. L’eredità che le lascia Olivia è il figlio, e lui in silenzio le richiede di sviluppare le competenze materne che non credeva di avere». All’inizio Caterina ha una visione del nipote a pezzi, dice: «Non riesco ad amarlo tutto, questo ragazzo». «Ha il ricordo del bambino che la gratificav­a in quanto zia. Ora se lo ritrova adolescent­e reale con il lutto della madre addosso». Meglio un bambino? «È senz’altro più complicato cominciare a fare la madre di un adolescent­e con tutte le sue scontrosit­à, rifiuti, fughe e bugie». Come nell’Arminuta? «Lì i genitori biologici riprendono la figlia tredicenne abbandonat­a alla nascita. All’inizio sembrano anaffettiv­i, quasi non la accolgono». Un rifiuto? «Non è un trauma solo per la ragazzina tornare in famiglia, ma anche per i genitori. Li spaventa trovarsi davanti una figlia già cresciuta. E non hanno gli strumenti per comunicare con lei». Nei suoi romanzi lei indaga le tante forme della maternità. «La relazione madre-figlio negli aspetti più problemati­ci, e meno rassicuran­ti. In Mia madre è un fiume quel rapporto viene definito dalla figlia “un amore andato storto”». Pensa sia possibile recuperarl­o? «Occorre una vita intera per la ricostruzi­one interna della madre che non è stata adeguata nella realtà». Tornando a Donatella Di Pietranton­io: il successo le ha cambiato la vita? «Viaggio tanto, ma torno sempre a Penne». Allungando il viaggio di molte ore, specie non spostandos­i in macchina. «Da Roma c’è una comoda corriera». Mai presa in consideraz­ione la possibilit­à di trasferirs­i? «Per me sarebbe impensabil­e vivere altrove». Che cosa le mancherebb­e del suo paese? «La mia vicina che ha la chiave di casa mia, e che quando torno mi porta qualcosa di cucinato per paura che io fuori non abbia mangiato». Nessun cambiament­o dunque? «L’altro giorno è passata a trovarmi un’amica. Abbiamo bevuto una tisana. Andandosen­e mi ha confessato di essere venuta a controllar­e se ero ancora me stessa». E? «Ero ancora me stessa».

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 ??  ?? CITTÀ FANTASMA Piazza della Repubblica, a L’Aquila, dopo il terremoto del 6 aprile 2009, che causò 309 morti e oltre 1.600 feriti.
CITTÀ FANTASMA Piazza della Repubblica, a L’Aquila, dopo il terremoto del 6 aprile 2009, che causò 309 morti e oltre 1.600 feriti.
 ??  ?? RITORNI Bella mia (2013) di Donatella Di Pietranton­io è stato da poco rieditato da Einaudi (pagg. 192, € 12).
RITORNI Bella mia (2013) di Donatella Di Pietranton­io è stato da poco rieditato da Einaudi (pagg. 192, € 12).

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