E la chiamano indie
Dall’underground alle classifiche, è arrivata la rivincita delle canzoni. Con MOTTA e il suo album memorabile e «punk-dylaniano»
Cè qualcosa di nuovo nell’aria, Õ anzi di antico. La cosiddetta scena indipendente, quella che non ama farsi chiamare così, ma che disegna un altro territorio rispetto alle grandi band e alle case discografiche multinazionali, non ha soltanto alzato la testa: è pure arrivata nei primi posti delle classifiche. Segno ulteriore che le vendite da supermercato dei cd sono finite e che è l’attenzione alle canzoni che guida i nuovi appassionati. Le storie di Motta, Zen Circus (sopra), che insieme hanno collaborato a lungo, e Bud Spencer Blues Explosion (in alto a destra) lo testimoniano senza tante cerimonie. Il primo, da Pisa (la famiglia però è di Livorno), aveva già centrato il bersaglio con l’esordio da solista, due anni fa, La fine dei vent’anni: la produzione di Riccardo Sinigallia e la Targa Tenco come passe-partout per il futuro. I pezzi del nuovo album Vivere o morire, che invece è stato prodotto da Taketo Gohara e rifinito ai Brooklyn Studios di New York, sono ancora una volta memorabili: dylaniani, se volete, ma di un Dylan che è finito ad ascoltare punk, più che blues, che ha subito la fascinazione del ritmo tribale, della parola diretta, senza cortesie, che sa prendere dal linguaggio del blues i suoi aspetti meno scontati. Vivere o morire verrà suonato dal vivo, con un’anteprima a maggio (il 26 a Roma, il 28 a Bologna, il 29 a Firenze e il 31 a Milano) e poi il tour, che lo porterà da Collegno (Torino, al Flowers Festival, il 10 luglio) fino a Budapest (al Sziget Festival, il 13 agosto).