Macron l’americano
Apprezzato per i discorsi e il buon inglese, il presidente francese ha trionfato durante la visita negli Usa. Ma a Parigi l’aria è più tesa: ecco un bilancio del primo anno dell’enfant prodige della politica d’oltralpe
Standing ovation. Il viaggio di Emmanuel Macron negli Stati Uniti è stato un successo: a Capitol Hill, dove ha criticato la politica internazionale di Donald Trump, ha riscosso oltre tre minuti di applausi. Ma in Francia l’idillio con gli elettori – seppur secondo i sondaggi il consenso sia al 40 per cento e migliore rispetto ai predecessori Sarkozy e Hollande a un anno dall’elezione – si è incrinato (il 52% giudica negativamente il suo operato). «I recenti scioperi contro la riforma delle ferrovie testimoniano una certa insofferenza, anche la riduzione dell’imposta sui grandi patrimoni è stata molto contestata, i sostenitori di En Marche!, che auspicavano una democrazia dal basso, sono rimasti delusi dalla gestione del potere tipica di un monarca repubblicano, e i laici sono preoccupati dopo che ha annunciato di voler rivedere la legge del 1905 sulla separazione tra Stato e Chiesa», spiega Riccardo Brizzi, autore del saggio La Francia di Macron (Il Mulino) con Marc Lazar, professore di Storia e Sociologia politica all’Istituto di Studi politici di Parigi. A un anno esatto dalla vittoria alle presidenziali contro Marine Le Pen, per l’enfant prodige della politica francese è ora di bilanci. «Macron si è fatto portabandiera di un progetto europeista in un Paese di euroscettici che al referendum del 2005 votò contro la nuova costituzione dell’Ue», prosegue Brizzi. Aveva promesso di rilanciare il progetto europeo, ma il prolungato stallo politico in Germania lo ha privato di un partner al di là del Reno con cui farlo. Una volta eletto ha strizzato l’occhio all’Italia con fare amico, poi si è rivelato un competitor dal quale guardarsi le spalle, come quando ha invitato a Parigi il premier libico Fayez al-Serraj e il generale anti-islamista Haftar, proponendosi come mediatore internazionale senza dire nulla a Roma. Ora si atteggia a colui in grado di far ragionare l’imprevedibile presidente statunitense su dossier sensibili, come quello sul clima o sul nucleare iraniano. Nonostante le vistose strette di mano tra i due, il Kennedy francese finora però non è riuscito a far cambiare idea a Trump.